domenica 16 novembre 2014

CAMBIAR LE PRIORITA’, unica cosa **seria** rispetto alle “bombe d’acqua” di chiacchiere dell’Italia di oggi


Abituale rimpallo di responsabilità nel vuoto spinto di proposte, e di idee - soprattutto d’idee forti -, nello stanco consenso obbligatorio che l’italiota medio ha dato, e dà, in perfetto style “socialismo irreale” la cui caduta, quel “fantaaastico” 1989, è stata la causa remota dei disastri attuali. Ci sta il socialismo reale e quello teorico, mucchio di belle intenzioni non realizzate e, talune, irrealizzabili. 
E c’è il capitalismo reale, quello storico, quello effettivo, quello che conosciamo, poi ci stanno le belle parole di Adam Smith, secondo cui il fare “il proprio bene individuale” si equivarrebbe al “bene comune”, il che non è affatto vero

Quel che il fare “il proprio bene individuale” reso teoricamente equivalente al fare il “bene comune” ha provocato è stata la nascita del dominio delle lobby e delle oligarchie. Questo non è un effetto perverso di un sistema buono, ma l’esito naturale quando le difese dalle oligarchie cadono, e cioè quel che è successo dopo il famoso, fantastico e meraviglioso ‘89. 

Stabilito tutto ciò, che il capitalismo reale non è quello teorico, e che va trattato esattamente come il socialismo reale - lasciamo i sogni ad altri -, veniamo a mettere un po d’ordine in questo gran caos.  

Punto primo. L’Italia è stata distrutta dallo sviluppo. Punto e basta.

Punto secondo.Vanno cambiate le priorità. Non si tratta di fare lo “sviluppo” e, poi, allo scopo disviluppare” l’economia, si dà spazio al riassesto e riassetto del territorio. NO!! 
Il primo scopo è il dissesto idro-geologico e la ri-costituzione territoriale di un intero paese. Di conseguenza - di conseguenza - questo ha delle ricadute in campo economico. 
SI DEVONO MODIFICARE LE PRIORITA’

Punto terzo. Questa modifica delle priorità la possono fare quelli stessi che ci han portato qui? E cioè quelli stessi hanno avuto come priorità lo “sviluppo”? NO!! 
Sta tutto qui. 
Il virus non cura l’influenza. Ci vuole qualcosa di esterno e di altro rispetto al mondo virale che ci ha condotti qui dove si è. 

Punto quarto. L’italiota medio si guardi una buona volta nello specchio e si prenda le sue responsabilità. Ha dato il suo consenso a questo sistema. Se non gli va più bene, non dia più quel suo stanco ed obbligato consenso, né voti quelli che hanno generato il problema o chi strilla soltanto ma non è costruttivo. Questo paese è già sufficientemente distrutto, non c’è bisogna della protesta “senza se e senza ma”, soprattutto senza obiettivi che non siano la revisione del modello dello “sviluppo”. Tal revisione non è la mera “ristrutturazione ecologica” della civiltà, come qualche anno fa si diceva. Infatti, quest’ultima cosa implica che le lobby che ci hanno condotto qui mantengano il loro controllo = nessuna riforma vera.  
Non vi è tale consapevolezza collettiva, delle responsabilità e del consenso dato, si dirà. Bene, chi ha tale consapevolezza, oggi minoranza minima, comunque agisca in qualche maniera. 

Punto quinto. Si deve uscire dal XIX secolo. Punto e basta. Chi si è opposto alla cementificazione selvaggia ed al dissesto e disastro territoriali talvolta è stato accusato di essere contro il cosiddetto “progresso”, diciamola più chiaramente: contro lo sviluppo
Ma siamo nel XIX secolo? Vogliamo entrare nel XXI?  Credono davvero che lo “stile di vita” (senz’alcuno stile) della fine del XX secolo e di una parte degli inizi del XXI possa essere di tutto il mondo? Davvero credono che tutti i cinesi, gli indiani, i sudamericani e gli africani potranno mai avere lo stesso “stile di vita” (senza nessuno stile) degli europei e nordamericani della fine del XX secolo e di una parte degli inizi del XXI? 
Ma se tale famoso stile di non vita di nordamericani ed europei “della fine del XX secolo e di una parte degli inizi del XXI” sta sparendo in queste stesse parti? E che qualcuno, come scrisse Cardini nel 2011(*), “ha deciso di farcene pagare il prezzo”? 
A nulla servirà voler “mantenere” quello stile senza style e votare qualche destra passatista o qualche sinistrella blairiana oltre tempo massimo per la semplice ragione che tutto ciò non affronta la situazione vera che c’è qui-ed-ora e non risolve alcunché.  

Risvegliatevi se potete, e chi lo può lo faccia e rapidamente. E lasci al suo destino chi non può, non vuole o non sa. Che ognuno si prenda le sue responsabilità. 
Ah oscene davvero le commemorazioni del loro fantastico ’89: gli esiti del quale vi erano inscritti necessariamente sin dal principio: il risorgere dei nazionalismi e la fine dell’Europa come presenza mondiale autonoma e indipendente, ridotta a periferia del mondo. Che è quel che siamo per davvero oggi

(*)  “Avviso ai naviganti: Cardini (2011), dal blog ariannaeditrice ”
Voglio terminare con le parole ultime del link qui appena citato:  
E rientrate nella storia.
Quella d’oggi.
Questa.”
 
 


“LE RAGIONI DELL’IMPASSE”, link dal blog “idee-inoltre”


sabato 8 novembre 2014

“Sulla Relazione di F. Cardini, al Convegno del Novecentenario della Diocesi di Caserta”



UNA BREVE RIFLESSIONE SUL CONVEGNO
PER IL NOVECENTENARIO DELLA
DIOCESI DI CASERTA.
In particolare, sulla
Relazione di
F. Cardini.

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Introduzione.
UN INTERESSANTE CONVEGNO


Si è svolto a Caserta, il 26 novembre del 2013, un importante Convegno sul Novecentenario della Diocesi di Caserta, che ha fatto anche un po’ “il punto” degli studi su questo tema. Per l’esattezza, son trascorsi, nel 2013, novecento anni dalla Bolla di Senne, o Sennete1. Le ragioni di tale Convegno sono state improntate alla relazione fra identità e continuità.
In effetti, che vi fosse una Bolla nel 113, nota da trascrizioni successive, dimostra che, tuttavia, vi erano già delle più antiche realtà ecclesiali sul territorio, ed è questione ancor oggi dibattuta se e quanto la Diocesi di Caserta sia da ricollegarsi a quella di Calatia, o “Galatia”, come si dice, con un probabile “longobardismo” (passaggio della consonante iniziale “k” a “g ‘dura’”). Seppur diminuita di capacità di convincimento, la tesi di una relazione fra la passata, e scomparsa, Diocesi di Calatia/Galatia sembra comunque ancora in certa misura presente negli studi2.

Come che stiano le cose, dal mio punto di vista, per quanto interessante sia stata la “messa a punto”, non vedo novità rispetto al Dizionario Storico delle Diocesi della Campania, del 2010, dove, alla voce Caserta3, si attesta l’origine normanna della Diocesi di Caserta stessa.

Proprio nelle parti iniziali del Convegno, vi è stata la relazione, quasi una lectio magistralis, di Franco Cardini, che, al di là del tema in esame, pur tuttavia riprendendo da esso spunto, è stata una sorta di riflessione sulla storia, in particolare sui rapporti fra storia “generale” e storia locale. Proprio su tale allocuzione di Cardini, a mio avviso, occorrerebbe riflettere un poco più attentamente.



LA RELAZIONE DI F. CARDINI


Cardini svolge un quadro molto vasto della storia del periodo normanno cui, se non proprio prende origine, sicuramente molto deve, la Diocesi di Caserta. La storia normanna, poi, puntualizza Cardini, non ha nessun senso fuori dallo studio dei pellegrinaggi e, soprattutto, delle Crociate, che portarono i Normanni nel Sud Italia4.
Un altro punto, non sviluppato ma sottolineato nella relazione, è il legame fra Diocesi, e loro sviluppo, con le dinamiche delle città campane nell’Alto Medioevo, tutto un capitolo per eventuali sviluppi ed approfondimenti vari.
Detto tutto ciò, Cardini prende a sviluppare il suo intervento, che è una vera e propria riflessione sulla storia e sulla metodologia storica.
La storia è sostanzialmente una disciplina scientifica moderna. Ma, nonostante quel che spesso, troppo spesso si tende a pensare, il legame fra questa disciplina storia e la politica è molto stretto, anche nei tempi moderni, per quanto quasi sempre velato o filtrato dai limiti imposti dal metodo scientifico e dalle sue regole. Cardini si spinge a dire che l’attuale tendenza a trascurare la storia – personalmente parlerei quasi di “una eclisse” della storia – non sia null’altro se non il riflesso della scarsa forza politica e sociale del mondo attuale.
Pertanto dietro all’Esperti, che riporta la Bolla di Senne, chi vi era se non Carlo III di Borbone – domanda retorica -, nessun dubbio al riguardo. Nessuno storico scrive o ricerca o discute nel vuoto spinto.

La storia è fatta sia d’ipotesi che di tesi vere e proprie. Le due facce son complementari fra di loro. Ed allora l’obiettività storica è un fatto inattingibile storicamente, piuttosto è una meta cui sempre tendere, ben sapendo che non la si raggiungerà mai pienamente. In tal senso, che piaccia o meno, la storia è una sorta di revisione continua. Per cui, oltre alle tematiche pur verissime di continuità ed identità storiche, Cardini inserisce il cambiamento, fuori da “ideologismi e retoriche”. In tal senso, con F. Braudel, Cardini sottolinea come l’esplosione della contingenza s’inserisca nella tematica, pur verissima, della “lunga durata” ed inevitabilmente, dialetticamente, aggiungerei, la modifica. Per fare un esempio, e venendo alle epoche del Convegno, se il VI-VII secolo fu caratterizzato da gravi problemi demografici nell’VIII si verificò una ripresa, in relazione ad un cambiamento climatico. In modo crescente, infatti, si sta prendendo coscienza di quanto i cambiamenti climatici incidano sulla e nella storia. Ma anche una tale accresciuta consapevolezza è un prodotto storico, il prodotto storica della nostra epoca d’instabilità climatica; in altri periodi storici, dal clima ben più stabile, si tendeva a considerare questa variabile come un fatto secondario. La storia, diciamocelo chiaro – e fuori dalla relazione di Cardini – non eccede se stessa, ma invece si implica logicamente: le categorie per mezzo delle quali si “misura” la storia sono anch’esse storiche! Il che ha, senza dubbio, la netta apparenza di un paradosso, del quale pur viviamo quotidianamente: infatti, se il denaro è “la misura del valore di tutte le cose”, che cos’ che misura il denaro? Il denaro stesso, il cui stesso valore fluttua. Sarebbe come misurare un oggetto con un metro la cui lunghezza cambia, il che è pur vero: la barretta di metallo che l’1 metro si espande o contrae, ma in modo minimo, le fluttuazioni del valore del denaro – il “misuratore” di tutte le cose ormai da qualche secolo – son ben più ampie.

Venendo sempre alle condizioni che, tra la fine del Primo Millennio cristiano e l’inizio del Secondo Millennio cristiano, quello che ha dato vita ed inizio alla Diocesi di Caserta, secondo il quadro più accreditato – Secondo Millennio che ormai è terminato già da quattordici anni -, Cardini ricorda l’importante figura di Cassiodoro, per sottolineare quel che si potrebbe chiamare la “dittatura latifondista sul Cristianesimo”.

Insomma, in questo continuo passare tra riflessioni metodologiche di ordine generale e casi storici concreti, tessitura che costituisce l’ordito e la trama della relazione di Cardini, il messaggio di fondo è questo: la storia è continuità nel mutamento. La vera difficoltà della storia e del suo studio – e dello storico che la pratica – è precisamente cogliere questa relazione di continuità nel mutamento. Si dirà: ed ovviamente la difficoltà è anche quella di cogliere il mutamento nella continuità. Vi è una parte di verità in tutto ciò, e tuttavia è più facile, più facile cogliere il mutamento nella continuità che, come invece suggerisce Cardini, l’inverso, ovvero la continuità nel mutamento.
Cogliere quest’ultimo “geroglifico del senso” rivelerebbe la cifra nascosta in ogni epoca.
L’epoca è la “fluttuazione del valore della moneta” nel paragone che si è fatto proprio qui sopra.

Le rivoluzioni, puntualizza Cardini, si pongono in evidente discontinuità; e tuttavia, si scoprono, sotto le loro apparenze, poderose forze storiche che mantengono la continuità.
Le rotture di “faglia storica” le si vede con molta più facilità, e tuttavia non sono quelle rotture definitive che vanno dicendo di se stesse, ma, al contrario, mantengono la continuità.

Se dunque noi studiamo il Primo Millennio, dalle nostre parti, ci accorgeremo della compresenza forte di elementi latini e greci, ma questi ultimi, quelli greci, paiono aver avuto una grande influenza sui Longobardi meridionali, per esempio, rendendoli ben diversi da quelli settentrionali, Longobardi che, comunque, hanno segnato profondamente il Sud non meno che il Nord Italia.

In quest’ambito di considerazioni ed in questa visione metodologica della storia, si chiede Cardini che cos’è la Diocesi di Caserta. Al di là del fatto se sia davvero collegata direttamente a Calatia/Galatia o non, in ogni caso e comunque, la Diocesi di Caserta è frutto di uno spostamento diocesano, come interessi, come struttura di fondo; e tale spostamento non avrebbe senso se non nell’epoca normanna. E qui Cardini ritorna al suo tema favorito, i pellegrinaggi e le Crociate, in cui l’elemento normanno è stato decisivo, lui, studioso di Boemondo principe di Taranto, che andò nelle Crociate. La storia normanna va necessariamente vista nel Mediterraneo, e non si può ben intendere se non in un contesto inevitabilmente più vasto, e cioè mediterraneo. Il che, a sua volta, riporta il tutto nel quadro della Riforma che operò Gregorio VII, e che nacque a Cluny. Rimane da citarsi, solo en passant purtroppo, il tema del perché la Chiesa scelse l’elemento normanno come referente, al di là della visione ottoniano-imperiale allora in auge. La Riforma gregoriana in Italia, in particolare meridionale, non fu cluniacense, ma ebbe come punti di partenza Montecassino e Cava de’ Tirreni: le grandi Abbazie insomma. La loro egemonia sui vescovi casertani è chiara ed evidente.

In effetti, anche da altre fonti, è chiarissimo che è stata l’epoca normanna a costituire una cesura forte per il Sud, la sua entrata, vera e piena, nel Medioevo. Infatti, non a caso “in epoca normanna si verifica la stabilizzazione degli insediamenti fortificati che frammentano gli intorni territoriali di derivazione romana, mantenuti dai Longobardi [corsivi miei]”5. Ancora: “Dall’XI secolo i Longobardi sono sostituiti dai Normanni che fondano una nuova città, Aversa, posta fra i territori bizantini di Napoli e quelli longobardi di Capua, riuscendo a poco a poco a conquistare la Campania, l’Italia meridionale e la Sicilia, formando così un grande Regno unitario. I Normanni son quelli che rivoluzionano l’assetto territoriale realizzato dai Romani introducendo il sistema feudale”6.

Ricordiamo, insomma, che il Meridione, il Regno dell’Italia del Sud è stato formato dai Normanni, poiché il Sud era una sopra di “zona di frontiera” fra Longobardi e Bizantini, e fra questi due ed il mondo islamico nord-africano che premeva da Sud. In effetti., questa farraginosità è rimasta come la base di fondo su cui l’elemento normanno ha costruito un’unità che ha “fotografato” il Sud come tale7.

In quest’ambito di considerazioni, si deve sottolineare un ultimo mutamento; dalle Pievi agli archi presbiterali, come dice Cardini. Il tutto nel quadro della Riforma gregoriana che cambiò il regime delle Relationes Decimarum, il regime delle decime, fondamentale per la Chiesa medioevale.

In quest’epoca, anche in seguito, o almeno in parallelo alla Riforma gregoriana ed alla riforma delle Relationes Decimarum, si verifica un fatto epocale, e cioè il ritorno dell’Occidente all’oro come base della valuta, come nell’Impero Romano. Si dovrebbe riflettere sulle relazioni fra Occidente e base aurea: ha segnato tutte le fasi espansive della economia occidentale, tant’è che la fine della parità aurea è coincisa con l’eclissi della centralità economica europea, ed oggi si sentono voci verso un ritorno, in forme differenti, a tale relazione con l’oro. La borghesia ed il suo dominio sono nati nel Medioevo, ed è in quell’epoca che si ponevano le basi della forza del denaro, che poi, nel corso della storia, è divenuta sempre più autonoma da ogni altra istanza superiore.

Cardini termina ricordando la lezione di Delio Cantimori, per il quale non esisteva quella frattura fra “grande storia” e storia “solo” locale, ma, piuttosto, fra storia ben fatta o mal fatta, dove per “ben fatta” s’intende quella storia che propone ipotesi ragionevoli e verificabili mentre quella fatta male non è in grado di costruire tali ipotesi verificabili.

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NOTE


1Bulla Sennetis, Episcopus Casertanus; trascrizioni: Michele Monaco 1630, Crescenzo Esperti 1775, il quale Esperti fa riferimento ad Ughetti all’inizio del XVIII. E’ piuttosto interessante sottolineare come, nella Bolla, si citino ben 133 chiese.
2Tesi che, poi, è quella divenuta comune dopo il XIX secolo, cf. Diocesi di Caserta, Cronologia dei vescovi casertani, Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, Napoli 1984 (per l’esattezza si legge al termine del volume: “Finito di stampare nel mese di marzo MCMLXXXIV nello stabilimento ‘Arte Tipografica di A. R.’ S. Biagio dei Librai – Napoli”). In particolare, si dà per certa l’origine della Diocesi di Calatia/Galatia da “S. Augusto – africano – (439-477?)” (ibid., p. 9). Poi l’origine sostanzialmente tarda ed ottocentesca sta nel fatto che S. Augusto sia sempre stato percepito come un nero di pelle, in base a quell’equazione, falsa, che vuole che tutti glia africani siano di pelle scura, cosa peraltro molto improbabile riguardo a S. Augusto stesso. Ricordo quelle teorie che vogliono Gesù Cristo scuro di pelle, sempre in base ad un’equazione, antropologicamente del tutto arbitraria, fra mediorientali e neri. Né i nordafricani, almeno la gran parte di essi, né i medio orientali sono appartenenti alla “etnia” nera. Tra l’altro, un uomo della fine dell’Impero romano queste cose le avrebbe conosciute benissimo.
3Cf. AA.VV., Dizionario Storico delle Diocesi della Campania, L’Epos Società Editrice, Palermo 2010, voce Caserta, pp. 256-280.
4Cf. F. Cardini, I Normanni e le Crociate, in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 (vent’anni fa) a Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994, pp. 356-362. Questo catalogo è molto importante, contiene anche uno scritto di E. Cuozzo, L’organizzazione socio-politica, in ibid., pp. 177-182. Utilissimo e davvero molto importante il contributo di O. Zecchino, Le Assise di Ariano, in ibid., pp. 183-187. Per finire, l’ultimo contributo, che pone il problema di una “identità normanna (o meglio ancora, ‘normanda’) europea”, che non è patrimonio di nessuno, né dell’Inghilterra, né della Francia, né dell’Italia meridionale, di Jean-Yves Marin, La coscienza normanna oggi, ibid., pp. 371-373, considerazioni di venti anni fa, però invero attualissime, di fronte alla pericolosissima “deriva” di una Europa concentrata, e direi arroccata, nel centro-Europa tedesco, con il resto d’Europa, dall’Irlanda alla Grecia, ivi compresa l’Italia, ridotta ad una sorta di “periferia”, con la Francia, che s’illudeva di far parte del centro decisionale, ridotta ad essere il “primus inter pares” dei secondari. Esiste o può esistere un’Europa “normanda” o “normandizzante”? Può darsi che quest’asse possa costituire una sorta di bilanciamento rispetto allo strapotere di un’Europa centrale troppo forte? Temi che travalicano amplissimamente quest’articolo. Ma vorrei ricordare poche parole di Marin: “L’idea è semplice e sappiamo che è condivisa in Scandinavia, in Inghilterra ed evidentemente in Italia forse sarebbe più corretto dire, alla luce del ventennio passato: era condivisa; nota mia]: fare della memoria che ci accomuna un asse portante su cui innestare sinergie di studio e di ricerca e attraverso cui percorrere le nuove esperienze umane, artistiche e culturali in genere. Come è ormai stato appurato, nessuno può rivendicare priorità assolute sulla civiltà normanna dei secoli XI e XII; questo patrimonio del passato è indivisibile e proprio in ciò risiede la sua forza e la sua peculiarità” (ibid., p. 273, corsivi miei).
5Rosa Carafa, Il sistema policentrico casertano, in Provincia di Caserta, Il Piano di sviluppo socio-economico e Premessa del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Caserta, Tipografia DEPIGRAF, Caserta 2003, p. 67. Naturalmente, visto questo scritto di dieci anni fa (ormai undici) e le realizzazioni pratiche: che distanza vi è fra i cumuli di carta delle organizzazioni politiche e le realizzazioni concrete, una distanza divenuta abissale nell’ultimo decennio. In ogni caso, lo scritto della Carafa fa, in breve, un sunto della situazione storica delle Provincia.
6Ibid., p. 66.
7“Potrebbe applicarsi ai Normanni dell’Italia meridionale ciò che si disse dei Romani rispetto ai Greci, cioè che i conquistatori furono vinti dallo stesso popolo assoggettato. In realtà, i rudi guerrieri nordici furono presi d’ammirazione per la cultura arabo-bizantina e per i grandi monumenti del passato greco e romano che la Sicilia e l’Italia meridionale a quei tempi presentavano in grande copia. D’altra parte, tutte le regioni conquistate dai Normanni furono dapprima ostili e quindi ammirate dalla loro accortezza politica e militare e si lasciarono governare con fiducia. […] La monarchia dei Normanni fu di tipo feudale [cosa verissima, ma gli studi di Cuozzo e Zecchino, citati prima in nota, pongono dei limiti a quest’affermazione che rimane vera, ma con molti “aggiustamenti di tiro” da farsi; nota mia], […] ma una larga tolleranza, un intelligente spirito di conciliazione e la più ampia utilizzazione degli elementi più vivi dei diversi paesi, consentirono di creare in Italia meridionale – come in Inghilterra e in Francia [e qui possiamo tornare a quanto detto, e citato in nota, prima, da J.-Y. Morin; nota mia] – un grande periodo di prosperità politica, civile ed economica, quale gli antichi predoni del mare non erano riusciti ad erigere in altri paesi europei da loro conquistati. Dalla conquista normanna derivò per il Mezzogiorno d’Italia una unità storica intramontabile” (R. Bosi, I miti dei Vichinghi. Storia e tradizioni degli uomini del Nord, Convivio/Nardini editore, Firenze 1993, pp. 47-48, corsivi miei). Soprattutto l’ultima frase, posta in corsivo, dovrebbe, al di là di questioni storiche, essere profondamente meditata. 

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BIBLIOGRAFIA

AA. VV., Dizionario storico delle Diocesi della Campania, L’Epos Società Editrice, Palermo 2010.

Roberto Bosi, I miti dei Vichinghi. Storia e tradizioni degli uomini del Nord, Convivio/Nardini editore, Firenze 1993.

Rosa Carafa, Il sistema policentrico casertano, in: Provincia di Caserta, Il Piano di sviluppo socio-economico e Premessa del Piano territoriale di coordinamento della Provincia di Caserta, Tipografia DEPIGRAF, Caserta 2003.

Franco Cardini, I Normanni e le Crociate, in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 (vent’anni fa) a Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.

Errico Cuozzo, L’organizzazione socio-politica, in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 a Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.

Diocesi di Caserta, Cronologia dei vescovi casertani, Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, Napoli 1984.

Jean-Yves Marin, La coscienza normanna oggi, in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 a Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.

Ortensio Zecchino, Le Assisi di Ariano, in Centro Studi Normanni di Ariano Irpino, I Normanni. Popolo d’Europa 1030-1200, Catalogo della Mostra del 1994 a Roma, a cura di Mario D’Onofrio, Marsilio editore, Venezia 1994.
[A. Ianniello]