martedì 1 novembre 2016

Due passi da un recente libro di A. Giannuli, “Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi)”




Due passi da un recente libro di A. Giannuli, “Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi)”


Da quando venti e tuoni infuriano sulla terra
un Fantasma è sorto dalle bianche ossa.
Il Monaco è un animo semplice, si potrebbe educare
ma il Fantasma malvagio è fonte di calamità.

Risoluto lo Scimmiotto leva la sua pesante mazza
e disperde la nera polvere che si addensa sul mondo intero.
Oggi salutiamo con gioia Sun la Scimmia
Perché la nebbia venefica è tornata ancora più forte[1].


“Avevo vaghi ricordi scolastici delle due soluzioni tradizionali
Di questo crittogramma, basate entrambe sul fatto che
tanto in greco come in ebraico le lettere erano usate per esprimere
valori numerici, sicché 666 doveva essere la somma dei numeri corrispondenti alle lettere del nome della Bestia. La soluzione
più antica, quella del vescovo Ireneo [di Lione], nel II secolo,
è lateinos, ossia ‘il latino’, a indicare la razza della Bestia;
quella più largamente accettata in epoca moderna,
non ricordo da chi proposta, è neron kaisar,
ossia l’imperatore Nerone considerato come Anticristo.
Ma sono entrambe soluzioni insoddisfacenti”[2].




E davvero la “nebbia venefica” è tornata, e più forte di prima, e ben minori son oggi le possibilità di ricacciarla, state il fatto che tante, ma davvero, energie sono state perse, svanite nella lunga fase d’attesa della Stasi senza fine … 

Ma veniamo a noi. 

Nel suo recente libro[3], Aldo Giannuli vuol parlare della P2 e delle sue vicende fuori dallo “schiacciamento” nelle vicende giudiziarie, concentrandosi invece sul progetto politico e sulle idee politiche di base della P2, a sua volta considerata una “camera di compensazione” fra interessi industriali e “cordate” regionali (in particolare, ma non solo, toscane), nell’ambito di una ben “determinata” visione internazionale.
Pur sottolineando più volte quanto Berlusconi debba a Gelli e quanto Renzi ne prolunghi la visione di fondo dell’indebolimento del Parlamento – sostanzialmente fatta propria da Berlusconi prima, ed ancor prima da Craxi (la famosa “governabilità”, senza dimenticare, però, il maggioritario che sempre fu il “cavallo di battaglia” di Gelli), la tesi di Giannuli è semplice: che “un filo rosso” d’ “idee” di base ricolleghi la politica italiana, pur nei cambiamenti di scenario e pur negli inevitabili adattamenti  che il fluire del tempo necessariamente comporta. In tal senso – e non in quello giudiziario, si badi bene – si può asserire che Gelli ha vinto, nel senso che ha profondamente influenzato la politica italiana, sin da quando ha condizionato l’importazione del sistema maggioritario in Italia, che tanto ne avrebbe condizionato le sorti.



A questo punto, la questione del “complotto” non viene certo elusa da Giannuli, ed è questo il primo passo che qui si riporta (il secondo passo, successivo, che si riporterà essendo quello dei cambiamenti sistemici che hanno potuto far sì che la P2 potesse aver successo).

“Come si sa, c’è uno scontro di lunga data fra complottasti e anticomplottisti pregiudiziali, che si riflette anche in quest’occasione [sulla P2, nota mia]. Di conseguenza, al solito le posizioni polari risultano egualmente non credibili proprio per il loro carattere pregiudiziale. Negare l’esistenza di complotti, congiure, operazioni coperte ecc., equivale a negare la storia, che invece abbonda di così tanti esempi da non esser neppure necessario di citarne qualcuno; viceversa, spiegare ogni congiuntura, avvenimento o fenomeno invocando l’azione di forze o trame oscure equivale di nuovo a negare la realtà riducendola a una spy story di cattiva qualità. Congiure e processi sociali, complotti e correnti culturali, operazioni coperte e scontri politici scopertissimi convivono nella realtà, s’intrecciano, si condizionano a vicenda. Ciò che marca la differenza è che i processi profondi sono lenti, solo parzialmente intenzionali, mentre le congiure sono sempre operazioni intenzionali e limitate nel tempo, finalizzate a raggiungere un determinato risultato in tempi politici e non epocali. Non appare plausibile perciò pensare a un’eterna cospirazione, che sopravvive ai suoi stessi iniziatori, protraendosi per decenni. Certamente esistono società più o meno segrete (la massoneria è la più nota, ma potremmo aggiungere gli Illuminati di Baviera, i Rosacroce e altri) e organismi più o meno coperti, o anche pubblici, che non rendono note le loro azioni o i loro dibattiti interni (la Trilateral, l’Aspen, il Bilderberg, per certi versi l’Opus Dei …). Tuttavia, a parte il fatto che prima o poi vengono allo scoperto e son oggetto di scandali, anche quando durano nel tempo sono veicolo di progetti diversi, e promuovono operazioni diverse e non sempre coerenti fra loro. Dunque, è anche possibile che esistesse un livello superiore della P2 rimasto coperto; quel che è certo è che a distanza di quarant’anni, ammesso che l’organismo sia ancora attivo, ne saranno cambiati quasi totalmente i componenti, non fosse altro per ragioni anagrafiche. Ed è ragionevole supporre che, mantenendo magari una stessa ispirazione di fondo, abbia avuto una sua storia”[4]. Ecco, la chiave sta proprio in questo nel mantenere “una stessa ispirazione di fondo”, la quale “ispirazione” – o “direzione” di fondo – non è né può essere una “cospirazione” che, quanto ad essa, è un’operazione fatta in vista di scopi precisi e politici, con un “range” temporale breve o al massimo medio, mentre l’ “intenzione” (o “direzione”) si attua su tempi medi o medio-lunghi, tempi “parzialmente” storici e certamente sovra-politici. Ed è precisamente questo punto che i “complottisti” (o “complottristi” …) non riescono proprio a capire.

Una stessa intenzione può prendere le forme di diversi complotti o congiure specifiche, può in un certo momento appoggiare Tizio e poi Caio, fatto quest’ultimo che sconcerta proprio quei “complottisti” che dovrebbero essere studiosi e collezionisti di complotti.

Il punto vero è che confondono due piani differenti e li pongono sullo stesso livello. Errore gravissimo, di prospettiva, sostanziale, errore che, una volta fatto, impedisce di capire le cose.

I complottisti, dunque, divengono così, a loro volta, una “massa di manovra” a favore di Tizio o Caio, senza che mai essi stessi si chiedano mai se possano essere a loro volta manipolati: è chiaro! Essi sono “liberi” …!
Diventa così facilmente comprensibile come la divulgazione dei “complotti” spesso ottenga l’effetto contrario, punto che un’osservazione anche minimamente spassionata immediatamente rileva. Ma com’è mai possibile un tal effetto perverso?? Beh, ora è chiaro, il meccanismo, il “mulinello mentale” si è appena descrittolo qui su.



Ora però veniamo all’altro passo, al secondo passo, quello relativo ai cambiamenti sistemici. Infatti, un passo interessante del libro è quello relativo al contesto internazionale in cui agì la P2, considerazioni che trovo più interessanti rispetto a quelle di più stretta attualità, pur legittime, ovviamente.
Il contesto storico è quello tra gli anni Sessanta e Settanta, un contesto incredibile per chi è vissuto a lungo sotto l’egemonia americana, epoca in cui tutta una serie d’eventi – brevemente ma efficacemente sunteggiati da Giannuli (ricordo solo la crisi degli accordi di Bretton Woods, di cui s’è detto in breve in qualche post in questo blog) – era messa in questione: questo ci interessa perché oggi viviamo in un parallelo esattamente su questo punto, ma in una fase storica molto ma molto differente; e la questione è sempre la stessa: quanto è “riaggiustabile” il System “Now” (con “Apocalypse” o non)?
Ed è possibile una risposta nel senso del “rafforzamento del dollaro” – che noi sappiamo non esser solo questo, ma correlato ad una visione sistemica precisa – come si è detto, su questo blog, che si è fatto nei tempi recenti? 

Questioni sistemiche decisive.

“Se la rottura cino-sovietica faceva balenare l’ipotesi di un ordine mondiale tripolare, l’egemonia americana appariva invece seriamente minacciata da crisi economiche e varie insorgenze. Oggi, a distanza di quarant’anni, sappiamo che sia l’ordine bipolare che l’egemonia americana sull’Occidente resistettero e che fu l’impero sovietico a franare. Tale esito, però, alla metà degli anni Settanta appariva tutt’altro che scontato e neppure prevedibile [lo era invece se si fossero prese sul serio le analisi economiche di Baudrillard sul cambiamento sistemico, nota mia]. Fu quello, infatti, certamente il momento di maggiore espansione dell’influenza sovietica […]. Era dunque ragionevole che una parte dei circoli atlantici considerasse il declino dell’ egemonia americana una prospettiva concreta a cui opporsi. Più ancora, preoccupavano i segnali di crisi interna. Il modello americano non appariva più così seducente come sino a pochi anni prima […]. Inizialmente, si pensò di riassorbire i movimenti di protesta con i classici meccanismi di consenso mediati dal Welfare State [corsivo in originale]. Un tal proposito si scontrò però ben presto con la crisi economica, in larga parte determinata dal deficit statale e dalla crescente pressione fiscale. […]Tutte le società occidentali furono attraversate, in varia misura, da un’ondata di movimenti di protesta. […] Questo ribollire d’istanze, affermazioni d’identità e proteste non riuscì ad assumere le forme di un progetto politico e la stagione dei ‘movimenti’ si concluse definitivamente nella seconda metà degli anni Sessanta: già nel 1973, il movimento era in pieno riflusso in Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Francia, e dopo qualche anno anche in Italia. Nel 1975 si svolse un importante convegno di studi organizzato dalla Trilateral Commission [corsivo in originale] (nata due anni prima, come raccordo fra i circoli dirigenti finanziari e industriali di USA, Europa e Giappone). I tre relatori principali (il francese Michel Crozier, l’americano Samuel Huntington [il quale di seguito sarebbe divenuto molto conosciuto, nota mia] e il giapponese Joji Watanuki) furono concordi nel diagnosticare la crisi come prodotta dal ‘sovraccarico del sistema decisionale’, che rendeva lo Stato facile preda del ricatto dei più diversi gruppi sociali, e dal conseguente indebolimento dell’autorità governativa [questa è la data di nascita del seguente periodo d’egemonia sempre più incontestata ed assoluta del “neoliberismo” cosiddetto, qui è iniziato il processo che ha fatto sì che le istanze dei gruppi subalterni o più deboli fossero praticamente sempre più marginale o inefficace, mentre così non è accaduto per i gruppi vicini alle autorità decisionali, piccolo particolare …; nota mia]. Da una simile analisi discendeva la necessità di una riforma complessiva che riducesse il campo d’intervento statale [i famosi “tagli”, si noti che i primi tagli in Italia furono proposti già verso il 1978; nota mia] e, contestualmente, restituisse funzionalità decisionale e prestigio all’esecutivo, in modo da consentirgli di agire come riaggregatore della domanda sociale [qui decisivi sono stati i mass media – anche se il successo nel “riaggregare la domanda sociale” non è stato continuo, quanto spesso piuttosto parziale, ondeggiante, “ondivago” quasi direi; nota mia]. Si proponeva perciò il tema della centralità dell’esecutivo da ‘schermare’ rispetto alle pressioni della società civile, ed è interessante notare che, se negli USA questo processo si accompagnò ad una Presidenza sempre più forte […], in Europa s’incentrò nella spinta a superare i regime parlamentare […]. In questo quadro, il rafforzamento dell’esecutivo a scapito del parlamento, il ‘raffreddamento’ degli istituti di democrazia diretta (come il referendum), la regolamentazione legislativa dei conflitti in materia di lavoro furono altrettanti passaggi necessari sul piano istituzionale. Quest’analisi, basata sul ‘sovraccarico e anarchia della domanda politica’ e sulla ‘crisi del meccanismo della decisione’, venne ripresa dal sociologo tedesco Niklas Luhmann e dallo storico italiano Giuseppe Are. L’interpretazione fu invece contestata da autori che proponevano modelli più sofisticati: da Alain Touraine a Shmuel Eisenstadt, da Seymour Lipset ad Alessandro Pizzorno, e molti altri. In effetti, quello dei relatori della Trilateral era un modello scientificamente debole […] La debolezza teorica del modello fu largamente compensata dall’appoggio del ceto politico e del potere economico [chissà perché … per qual caso …, nota mia], sia europeo sia americano [non solo gli americani, dunque; nota mia], e da quello conseguente dei mass media. In breve, si affermò l’idea che la stagione dei movimenti era stata una sorta di ‘scapigliatura’ più ricca di aspettative irragionevoli, d’ideologismi esasperati e d’inaudita violenza politica [proprio quest’argomento sarebbe poi stato il “cavallo di battaglia” e quello più potente, che riecheggia sempre sino ad oggi; nota mia] che di reale aspirazione ad un diverso modello di democrazia. Si avviò in tal modo una sorta di ‘controrivoluzione culturale’ [che il marxismo nemmeno vide in Occidente, così perdendo la guerra, e che i marxism-i orientali capirono benissimo: in Cina la si usò per rafforzare il Partito Comunista, in Russia si capì che il Partito era un ostacolo e occorreva disfarsene, centro del potere diveniva l’ex KGB: si concludeva con la vittoria di quest’ultimo l’annosa lotta intestina che aveva caratterizzato tutto l’URSS, quella fra Partito e Servizi: tutto è molto diverso dalla “vulgata” che ancor oggi ha corso; nota mia] tesa a restaurare ciò che la contestazione aveva intaccato [ma non davvero attaccato, nota mia]. I ‘decisori’ politici ed economici iniziarono a pensare che lungi dall’assicurare pace sociale, il Welfare State [corsivo in originale] aveva solo fatto crescere le aspettative, rivelandosi causa di nuovi conflitti [iniziava una storia più che ventennale, e, su questo preciso puto, cfr. J. Baudrillard, La sinistra divina, Feltrinelli, Milano 1986, pp. 78-82: si riflette “un barlume di nanosecondo”, se possibile, sulla data di pubblicazione … ; nota mia]. D’altro canto, non era difficile prevedere che lo smantellamento dello stato sociale, per quanto graduale, avrebbe potuto riaccendere quella conflittualità appena sopita. Pertanto, accanto a una decisa opera di scomposizione del blocco sociale lavorista che lo sosteneva, s’imponevano adeguate riforme istituzionali in grado di restituire al sistema la ‘capacità di decidere’. Occorreva smantellare il compromesso socialdemocratico […] e per far questo si doveva espugnare la roccaforte dei partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti che vigilavano su quel patto. E questo avverrà tra la fine degli anni Ottanta e primi Novanta con l’ascesa di leader come Schröder o Blair nei rispettivi partiti. Ma, nella prima metà degli anni Settanta, il problema era quello di mettere le briglie alla conflittualità, comporre i dissidi interni alle classi dirigenti, blindare il potere decisionale, soprattutto per quanto riguardava il governo. A questi obiettivi rispondeva i Piano di Rinascita Democratica della P2”[5]. Tra l’altro, in Appendice, Giannuli riporta integralmente il “Piano di Rinascita Democratica” della P2.

Va detta una cosa molto chiara: da allora in poi la “ricetta” quella era e quella è rimasta, rafforzamento dell’esecutivo; perenne diminuzione – rallentata negli ultimi tempi – del cosiddetto “Welfare State”; centralità del petrolio ed interventismo in Medio Oriente (si noti solo il film I tre giorni del Condor e se ne veda la data … !!); poi centralità del dollaro e suo rafforzamento, o almeno contenimento del suo indebolimento. Aggiunta recente è il contenimento della Russia e della Cina, per altro mosse deboli. Solo sul petrolio vi è stata l’ unica vera differenza geopolitica “globale” della presidenza Obama ormai terminata: tagliare il più possibile i legami col petrolio saudita.


Di tutte queste mosse, il punto più debole rimane sempre quello valutario, la centralità del dollaro ed il suo rafforzamento come strumento di stabilità sistemica.


A questo punto, si deve far mente locale e chiedersi: è possibile che il rafforzamento del dollaro duri troppo?
No.

E che sortisca gli stessi effetti di trenta quarant’anni fa circa?
No.

In ogni caso, questo richiederebbe altre – lunghe – considerazioni … Però – in guisa “apodittica” ma non “apocalittica” … - interessanti “hints” vi son oggi al riguardo del fatto che l’egemonia americana sia in crisi esiziale finale – anche perché ha reagito allo stesso modo, rafforzando il dollaro, ed in circostanze diverse non poteva ciò sortire gli stessi effetti per la legge storica che impedisce che circostanze uguali si ripresentino, al massimo circostanza parzialmente simili (e siamo in una circostanza del genere) – e che ciò che ne verrà fuori non sarà il “multipolarismo” né la risurrezione della Russia, tanto voluta da Putin & C. E non sarà nemmeno la sostituzione di un ordine “cinese” a quello americano, in quanto la Cina è storicamente incapace di proiettarsi oltre la sua sfera d’influenza fuorché dal punto di vista economico (non esiste un “modello cinese d’esportazione” perché scritto in caratteri cinesi, solo parzialmente fonetici). Dell’Europa è bene nemmeno iniziare a parlare, purtroppo essendosi ristretta ad un lago tedesco, in perenne lotta intestina e con i problemi, storicamente “classici”, Germania-Russia: siamo tornati a prima della Prima Guerra Mondiale, mutatis mutandis.

Nessuno realisticamente oggi può prender in mano il testimone o lo scettro dell’Americ(k)a in decadenza irreversibile: la decadenza fu fermata da Reagan & C., ma essa è strutturale.

Temibili oracoli” ci parlano del “Gran Chaos”, ma esso sussiste solo teoricamente; se ne deve dedurre che “qualcosa” – o “qualcosa” con “qualcuno” … - debba necessariamente prendere il posto del Caos. La storia, infatti, è governata dall’ horror vacui, vale a dire che non si può dare assenza di decisioni. Le decisioni vanno prese, se non per il bene, per il male; ma non si può dare il caso dell’assenza di decisioni, ovvero dell’assenza di decisori. Fossero pure curatori fallimentari.










[1]  Mao Tse-tung, Uno studio sull’educazione fisica. Tutte le poesie, Sansoni, Firenze 1971, p. 94, corsivi miei; qui Mao allude a dei personaggi tratti da Lo Scimmiotto, di Wu Cheng’en, come il Monaco, ed inoltre il nome dello Scimmiotto è Sun Wukong. Converrà precisare che siamo, secondo il Calendario cinese, nell’Anno della Scimmia (8 febbraio 2016 – 27 gennaio 2017), elemento Fuoco (come i Quattro Elementi occidentali, più un Quinto Elemento, in Asia Orientale), dunque è l’Anno della Scimmia di Fuoco. Tra l’altro, Leonardo da Vinci nacque in un Anno della Scimmia, Anno della Scimmia fu anche, per l’Italia, il fatidico 1992. La Scimmia si attaglia molto, come carattere astrologico, all’Italia, ed infatti corrisponde – ovviamente più o meno - al segno dei Gemelli, nello Zodiaco occidentale (per la verità, greco-orientale, occidentalizzato). Omaggiamo, dunque, lo Scimmiotto, nel suo anno. Negli scacchi, l’arma “leggera” della “partita all’italiana” è l’agile, mobile cavallo che, però, nei finali di partita, poco serve. Utilissimo, al contrario, nelle fasi iniziali perché può saltare gli altri pezzi, unico ad avere questa caratteristica, molto nello “style” dello Scimmiotto.
Tra l’altro, il simbolo della Scimmia (astrologica cinese) si può vedere in questo link:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/96/Monkey_2.svg/500px-Monkey_2.svg.png.
Ed anche la statua della Scimmia (come si ritrova in un santuario Shintò di Tokyo) si può vederla al seguente link:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/33/Tokyo_monkey_statue.jpg.
Un’illustrazione da Il Viaggio in Occidente, che è il titolo originale di quel che noi chiamiamo “Lo Scimmiotto”:
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/78/JourneytotheWest.jpg.
Un’immagine tratta da un vecchio (del 1984) adattamento teatrale de Lo Scimmiotto: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/2f/Sun_1984_photo03.jpg/1024px-Sun_1984_photo03.jpg.
Uno studio sulle origini, non necessariamente cinesi, dello Scimmiotto (in inglese), cfr. http://sino-platonic.org/complete/spp081_monkey_sun_wukong.pdf.
Un altro link, sull’influsso indù (da parte del Ramayana, per l’esattezza), cfr. http://www.sino-platonic.org/complete/spp114_journey_to_the_west_monkey.pdf.
[2]  R. Graves, La Dea Bianca, Adelphi Edizioni, collana “Gli Adelphi”, Milano 2015 (edizione originale 1992), p. 396 (l’intero cap. 19 s’intitola Il numero della Bestia, ivi, pp. 393-400). Trattasi d’un testo dai risvolti molto interessanti, ma che, purtroppo, ha dato luogo ad una falsa mitologia della “dea Luna” che spiegherebbe praticamente ogni cosa: come sempre, le cose non sono mai così semplicistiche.
In una nota, correttamente Graves osservava che, per far sì che si avesse la combinazione 666 occorreva che “kaisar” che segue al neron, fosse scritto con il k (Kaf) e non con il q (Qof), come invece si trova scritto. Di conseguenza, quest’interpretazione non convince. Graves ne propone un’altra, in latino, dove si ha la stessa somma – vale a dire 666 – derivante da “d. c. l. x. v. i.” (ivi, p. 396), che lui interpreta prima in un modo (ivi, p. 397), che poi correggerà in un termine, per aver infine: “domitius caesar legatos xti [Xristi = Christi] interfecit” (ibidem), vale a dire: “Domizio Cesare violentemente uccise gli inviati di Cristo”. Qui “Domitius” non è Domiziano, come si potrebbe interpretare, ma stavolta davvero Nerone, in quanto “Domizio” era il nome originale di Nerone (Lucius Domitius Aenobarbus), prima di quello “imperiale” di Nero, per l’appunto.
Graves tuttavia non si accorge del fatto che si può permutare l’espressione “d. c. l. x. v. i.”, avendo quindi: dux cli. O dux cil. O dux lic. Le ultime tra combinazioni danno tre numeri diversi, sempre per la corrispondenza fra lettere e numeri, attiva in greco, ebraico e latino antico, o potrebbero essere della abbreviazioni, mentre Dux rimane un titolo. In tal caso, il numero da ritrovarsi, che sia una cifra o un’abbreviazione, non sarebbe più il fatidico “666”, ma la somma numerica delle lettere tranneDux”. Si lascia volentieri all’eventuale volenteroso lettor l’onore, o l’nere, o la mera curiosità, di seguir codest’altra pista, rispetto alle più note – anzi, ari note – spiegazioni che non spiegano nulla, come il corso della storia, in effetti, ci ha ormai ampiamente dimostrato.
Tra l’altro, in alcuni manoscritti al posto del classico “666” vi è il 616, come attesta lo stesso Graves: “Il fatto che alcuni manoscritti portino 616 in luogo di 666 non invalida la mia tesi, elimina solo la l di legatos, dcxvi significa, nelle parole di San Paolo, la Bestia ‘crocifisse nuovamente il Figlio di Dio’” (ivi, p. 399, corsivo in originale). In tal caso, sempre mantenendo “dux”, avremmo “ci” (o all’inverso), con lo scopo di ricercare le combinazioni numeriche di tali lettere e le eventuali abbreviazioni cui esse possono dar luogo.
[3]  A. Giannuli, Da Gelli a Renzi (passando per Berlusconi), Ponte delle Grazie, Adriano Salani Editore, Milano 2016.
Tra l’altro, è interessante l’osservazione: “Un americano […] con cui Gelli ebbe molte frequentazioni fu Michael Ledeen, repubblicano. […] In contatto con gli oltranzisti repubblicani era anche il piduista Edgardo Sogno, che firmò un affidavit di presentazione negli USA per il piduista Sindona. Né è un caso ce Gelli sia stato invitato alla cerimonia d’insediamento di Ronald Reagan. Al contrario, non risultano contatti con ambienti democratici. Ed è significativo che lo smantellamento degli apparati legati alla teoria della guerra rivoluzionaria [in Occidente “atlantico” contro il “comunismo”, nota mia] si verificò dopo la caduta di Nixon in seguito allo scandalo Watergate” (ivi, p. 85, corsivo in originale).
[4] Ivi, pp. 64-66, corsivi miei.
[5] Ivi, pp. 69-73, corsivi miei. Se le decisioni rese in quegli ambiti così ristretti hanno conseguenze sin ora, fino ad oggi, ergo i complotti esistono. Solo che 1) non spiegano per niente tutta la storia, e 2) non hanno successo solo basandosi su se stessi, ma se e solo se incontrano circostanze storiche favorevoli, circostanze con le quali i complotti interagiscono, ma che non creano “a tavolino” a loro piacimento. Il problema di fondo delle “adeguate riforme istituzionali” è che, se all’inizio restituiscono un’apparenza di potere decisionale, poiché schermano le istanze “dal basso” ma non quelle dei gruppi vicini ai posti decisionali e ai decisori stessi, su di una distanza appena un po’ più lunga minano irreversibilmente il potere decisionale stesso in quanto allontanano il consenso, qualora tali riforme siano condotte oltre un certo punto. Nasce, dunque, il cosiddetto “populismo”, la protesta da parte di color i quali han dato il consenso alla lunghissima stagione della discesa, alla lunghissima stagione della “nebbia venefica”, che vedono la loro vita peggiorare a vista d’occhio. La risposta del sistema è chiamare i vari populismi, di cui Trump è solo l’ultimo esempio, fatto importante perché significa che il System è in crisi nel suo centro, perché il dissenso rimanga dentro il System. In una parola: reagisce cercando di mantenere la sua stabilità interna, lo stesso tipo di reazione che ha sul dollaro. 













P.S.
 

Un dettaglio da “Lo Scimmiotto” (in inglese) illustrato da M. Manara che, nonostante “eroticizzasse”, come oggi purtroppo spesso accade, cose non erotiche, ha prodotto qualche buona tavola. 

Da “Lo Scimmiotto” (in inglese), 2, qui quando lo Scimmiotto va in Monastero e gli conferiscono il bel nome di “Consapevole di Vacuità”.


















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