mercoledì 17 febbraio 2016

L’ “ignavia” dell’ “Occidente” non è certo un “caso”



L’ “ignavia” dell’ “Occidente” non è certo 
un “caso”


Molti notano - e giustamente - che le recenti notizie sull’assedio di Aleppo siano ipocrite, poiché son ben due anni di assedio: di solito, tuttavia, tali osservazioni hanno sempre un che di “assolutorio” verso la Russia di Putin, il che è spia di ciò che si dirà fra breve. 

Ignavia voluta? Ignavia voluta, sì, ma non solo dalle nazioni occidentali e dai loro capi squalificati, ma dalle stesse *******opinioni pubbliche*******, “occidentali” (e “dentali”): ok? Ci stiamo capendo?  

Nessuno in “Ho Ci Dente”, dico nessuno, morirà per la Siria. 

Punto e basta. 

Fine della questione. Nessuno, in Occidente, intende sul serio ficcarsi in quel grosso pasticcio, per davvero. 

E l’Iràn si prenderà per lo meno in parte l’Iraq. in un modo o in un altro che sia. 

E il famoso Occidente non farà nulla di reale, ovvero quel che Hitler diceva sarebbe successo, e sarebbe successo davvero, non fosse che per qualche “influenza particolare”,  e che oggi, invece, sta succedendo effettivamente, e sotto i nostri occhi. 

Evidentemente questa “qualche influenza particolarenon è all’opera …

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Che queste osservazioni sull‘ipocrisia dell’Occidente siano sempre assolutorie verso la Russia di Putin è una spia importante - come si diceva - dell’ignavia inguaribile dell’Occidente. Dietro c’è sempre l’idea che Putin “farà il lavoro sporco per noi”. 

A me va benissimo, ma Putin farà “il lavoro sporco” non per noi, per lui. Se, “occidentaluccio” che hai sempre in mani quei cosettini elettronicucci, capisci questo, a me va benissimo: nessuno più di te si merita una lezioncina. Ma tu credi che il mondo giri attorno a te - ti hanno indotto a crederlo, per la verità, la tua è una correità, non sei il reo principale, ma ci sei stato alla fin fine, e non ce lo possiamo dimenticare - e quindi vuoi che gli altri facciano il lavoro sporco per te. Se gli “altri” - se mai tu capissi questo termine non esistente nel tuo vocabolarietto - fanno il lavoro sporco, non lo fanno per te, ma lo fanno “per sé”. 

Giusto per … 


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NOTA

“Il problema della tradizione demolita”









martedì 9 febbraio 2016

CE o non C’E’? ? - Non CE -




Oggi è in vigore l’idea che basti dedicarsi alla risoluzione dei problemi “concreti”, senza una visione più generale, e si avrà per questo successo, quando i fatti stan qui a dimostrare che è impossibile risolvere un problema “pratico” senza una visione più generale che dia senso. “Senso” vuol dire “significato”, ma vuol dire anche “direzione”: senza una direzione ci si agita, ma non si risolve. E “risolvere” significa sciogliere.
Mancando la - o “una” - visione, la politica non esiste più.
Si agisce, ma non si sa perché.
Si vuol fare, ma senza un progetto.
Si giunge così al punto - solo in apparenza paradossale - che, tanto più si agisce, tanto peggiore diventa la situazione. E’ come un gatto che tenti di suonare un pianoforte - venendone fuori solo note dissonanti e senza un filo conduttore -, è come uno che toccasse un complicato apparato elettrico senza sapere cosa toccare, e spesso fa più danni che altro.
Questa cecità non si vede solo nelle cose “macroscopiche”, ma pure in nelle piccole cose delle amministrazioni locali.
Questa cecità è una caratteristica unica, distintiva e fondante la nostra epoca, fra tutte le altre.
In un tal ambito di considerazioni, Caserta emerge come una palude particolarmente fangosa e dispersiva.
Nomen omen. Casa più hirt, “herd” nell’inglese attuale, gregge: la “casa del gregge”. Ce ne sono molte di “case del gregge” in Italia - Caserta, Caserte o Casirte, nome di evidente origine longobarda - che dunque, con il termine “erto”, non ha proprio niente a che fare- più “casa”, che indicava un piccolo insediamento, poco più - o meno - di un “villaggio”; ma solo a Caserta questa “località” diventa una città … Ma lo è mai diventata? Davvero? ... Ecco il punto nodale.
Poi chiaramente, la “città” è stata attirata inevitabilmente nell’orbita della grande città vicina, in tal caso Napoli, ma pure questo è “niente di nuovo sotto al sole”, si conosce, infatti, il caso “classico” delle cosiddette “città satelliti”, per fare un esempio Versailles, in relazione a Parigi: la cosa non è poi tanto diversa. La differenza - vera - sta nel fatto che Versailles ha una sua “identità”, specifica, nonostante sia una “città satellite”; anzi, le città satelliti beneficiano della vicinanza di un grosso centro a patto di saper gestire la relazione, come Caserta, invece, non è mai e poi mai riuscita a fare.
Per fare un esempio, che la sede della Provincia di “Terra di Lavoro” sia stata storicamente spostata da Capua a Santa Maria Capva Vetere, per poi trovare il suo stabile centro a Caserta non ha niente a che spartire con l’importanza storica di Caserta ma con la sua posizione ottima da punto di vista degli assi viari. D’altro canto, se ci sta una Reggia, se sopra in collina vi è un castello e la Torre federiciana si deve ad una cosa sola: alla posizione strategica, fra tre assi: verso Napoli e il Sud; verso Roma e il Nord; e verso Benevento e la zona interna. Né Capua né Santa Maria potevano coprire l’asse interno. Ora, ciò detto, anche qui vale la stessa cosa: Caserta non è mai e poi mai riuscita davvero a usare questo suo “vantaggio posizionale” che, negli scacchi, è decisivo, e consente ad un pedone di poter bloccare un Re, la pezzo di minor valore di poter bloccare quello di valore maggiore: è la posizione, il vantaggio e svantaggio posizionale, che rende ciò possibile.
Manca un piano generale, una visione - inevitabilmente fondata sul passato e sulla storia - poiché si nega la storia di questa città (o quasi città, o semi città). E finché questo non cambierà, tutto il resto sarà solo un enorme, inutile oltre che ridicolo, accumulo di bla bla bla. Caserta ricorda molto più certi paesoni che un capoluogo di Provincia che abbia un suo pedigree, nonostante sia la città delle cacche di cane, quasi a misura di cane. Tu eviti una cacca di cane e ti reputi fortunato ma, evitandola, ecco che cadi su di un’altra cacca di cane.
La deriva era inevitabile, una volta che l’unica vera produzione era diventata, ormai, soltanto l’edilizia, e non appena la situazione economica, pur senza risolversi - non può, perché ha delle cause strutturali ben più forti e globali -, si è un po’ rimessa finalmente, imperterriti e senza nessun problema, si è tornati all’edilizia senza un piano. Senza un piano, spianata, nel senso che si spiana.
Come al malato di cirrosi epatica basta l’ombra dell’alcol per ubriacarsi, così al malato di cirrosi epatica mentale, basta un accenno di denaro che ombreggia per l’ aër, ed ecco che ti costruiscono qualche palazzone.
Tutto questo in una situazione in cui né Caserta né la Campania “stanno da sole”, come vuole il diffuso pregiudizio che, tanto più si “globalizza”, tanto più ci si rinchiude nel localismo più becero ed asfittico, come se ciò risolvesse qualche problema.
Viviamo l’epoca dell’avvenuto passaggio dalle democrazie in crisi alle oligarchie dominanti.
Tanto vale, come Caligola e il cavallo, eleggere il cane come governante: di certo hanno più “diritti” i cani, sono meglio trattati degli uomini. Così, nelle minute delle dichiarazioni al Parlamento, leggeremo tanti “bau bau” e “whoof whoof” …  
Non sia mai che si abbia un certo controllo del territorio, ma no! Certo, se non si paga l’immondizia o si passa con il rosso, ecco che la presenza dello “Stato” diverrà evidentissima per il normale cittadino pagante.
A questo è ridotto lo Stato, ormai (anzi, or sempre), ad un collettore d’imposte incapace di fornire quegli stessi servizi per i quali richiede ed impone spietatamente le sue imposte - nomen omen -, e del tutto incapace sia di controllare il territorio sia di garantire la pubblica salute, ambedue, ed è bene ricordarlo, impegni precisi e costituzionali.
Ma non accade nulla, di fronte a decennali manchevolezze: It’s democracy baby!
Questo in una situazione economica mondiale che è stato detto più volte sarebbe andata a finire malaccio; ed è stato detto da fonti autorevoli, non dai “complottisti” - l’era dei “complottisti” è terminata, ora che persino Draghi ha pubblicamente parlato di forze che “complottano” per tenere l’inflazione artificialmente bassa (cfr. http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2016/02/04/draghi-inflazione-bce-non-si-arrende_01d040c4-27f0-451e-8c21-0355609a9fb9.html) -. Notizia, quest’ultima, dell’Ansa, sia ben chiaro.
La realtà vera è che costoro, tutti - favorevoli alla svolta fatta negli anni passati, o apparenti “protestanti” contro di essa, di solito per dei motivi che dimostrano che non hanno capito il bel resto di nulla!! -, non hanno la benché minima idea di “che cos’è la ‘decadenza’” - ma davvero “che cos’è” -, che cosa implica, quali sono i suoi segni determinanti.
Facciamo un esempio. Roma e i mattoni: “Fin da età tardo antica si erano manifestate, nell’ambito dei modi di costruire, alcune tendenze che, a partire dal V secolo, divengono evidenti nella nostra documentazione archeologica: un generale abbassamento qualitativo nella regolarità e nella cura degli apparecchi murari e, in particolare, una crescente differenziazione delle tecniche di costruzione a seconda del tipo di struttura e del livello sociale ed economico dei destinatari, insieme a una diffusione della pratica del reimpiego dei materiali. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, si può dire che, praticamente, a partire dal V secolo, tutti i materiali impiegati nell’edilizia sono di riutilizzo. La grande produzione laterizia, ancora in piena attività nel IV secolo, sembra fortemente ridimensionata già nel corso del V secolo. A partire dall’età gota, le figline producono esclusivamente tegole di copertura, materiale evidentemente assai più difficile da riutilizzare […]. Un passo dalle Variae di Cassiodoro c’informa che i produttori dovevano fornire ogni anno 10.000 tegole per la manutenzione degli edifici di Roma. E’ probabile che a questa fornitura si riferiscano le tegole bollate con il nome di Teodorico e la scritta ‘bono Romae’ o ‘felix Roma’ […]. Dalla metà del VI secolo la produzione laterizia deve essersi ridotta fin quasi ad esaurirsi del tutto. Le sporadiche tegole con bolli papali sono […] da riportare a limitate produzioni connesse con specifiche iniziative edilizie promosse dai pontefici, come nel caso dell’unica tegola con bollo di Giovanni VII […], ritrovata nell’ Atrium Vestae, presso la pendice del Palatino dove il papa aveva fatto edificare il nuovo Patriarchio. A parte questi laterizi di copertura, la totalità del materiale laterizio e lapideo impiegato nelle costruzioni, per tutto il periodo preso in esame, è di reimpiego. I mattoni erano recuperati scalpellando le cortine di edifici di età imperiale; a quest’attività è dovuto l’aspetto di molti monumenti a Roma, come ad esempio le terme di Caracalla, le cui superfici murarie appaiono ridotte al solo nucleo cementizio [che stava dentro la copertura in mattoni, nota mia] per l’asportazione totale delle cortine” (1).
Dunque la “frattura” fra “evo antico” ed “evo medio” in Italia non avvenne affatto con la falsamente fatidica data del 476, ma, come si conviene negli studi di archeologia cristiana, con Gregorio Magno (540 ca.-604), e fu compiuta, nel senso di completata effettivamente, solo con il VII-VIII secolo (2). “L’VIII secolo segna, anche in questo campo, un momento di svolta, con l’introduzione e la diffusione di nuovi modi di costruire, che indicano profonde trasformazioni nell’organizzazione del lavoro, e con l’affermarsi di una ancor più netta distinzione tra le strutture dell’edilizia di committenza alta, pubblica e aristocratica, e quelle relative all’edilizia abitativa e popolare” (3).
Ancora: “Si è già detto che una delle caratteristiche dell’edilizia altomedievale è costituita dalla netta distinzione tra l’edilizia di committenza alta, pontificia e aristocratica, da quella di livello basso. Finora sono molto pochi gli esempi noti di strutture di questo tipo: il principale nucleo messo in luce è costituito dalle domus terranee del Foro di Cesare” (4). Si tratta, in sostanza, di edilizia di sussistenza o “spontanea”, come suol dirsi, ed è interessantissimo vederle. “In definitiva, le innovazioni che si possono individuare nei modi di costruire che abbiamo analizzato, rispetto alle tecniche edilizie tradizionali [romane antiche, fino al VII sec.], sia nell’edilizia di committenza aristocratica che in quella popolare, a partire dalla metà dell’VIII secolo, mostrano una tendenza uniforme verso una riduzione della complessità delle operazioni di cantiere e, in particolare, di tutte quelle operazioni che richiedono competenze specialistiche, in perfetta coerenza con le trasformazioni della struttura economica della società che sono state analizzate precedentemente” (5).
Facciamo un breve riepilogo delle “trasformazioni della società” di cui si è, assai brevemente, appena detto. La semplificazione di tutto, l’impoverimento dei pubblici erari, la spaccatura fra due gruppi ben distinti, e che si allontanano sempre di più. Quest’ultimo fenomeno, iniziato già con la fine dell’Impero, si accresce con l’Alto Medioevo.
Notiamo che oggi abbiamo dei fenomeni molto simili. Per esempio, un indicatore serio e sicuro è quello dato dalla salute del sistema viario e dei trasporti, che è sempre la “cartina di tornasole” dello stato di salute del pubblico erario, per la semplice ragione che richiede grossi investimenti che non torneranno mai indietro, e vanno fatti in deficit. Al massimo puoi tentare un pareggio di bilancio - sempre molto difficile -, ma è quasi impossibile che tu possa raggiungere un avanzo di bilancio.
Di conseguenza, lo stato di salute del sistema viario e dei trasporti postula uno stato di salute del pubblico erario. Ovvero che non vi sia una crisi fiscale in atto. Precisiamo che gli stati altomedioevali e della fine dell’evo antico erano in stato di crisi fiscale perenne. Come noi oggi …
E di costruzioni di sussistenza - o “spontanee” - ve ne sono, e tante, solo non viste o non riconosciute come tali, dal reimpiego di case altrui, alle catapecchie d’immigranti o di zingari, all’occupazione delle case e via dicendo. Se potessimo vedere la tendopoli di Calais, per esempio, scopriremmo che erano più dignitose le casupole del Foro di Cesare in epoca altomedioevale. La realtà è che questi dati sono espulsi dal quadro e rubricati nella categoria, tanto grossa quanto informe, del fenomeno della cosiddetta “immigrazione” o dei “profughi”. Ora, non è che questi fatti non ci siano. Ma non è che le cause di questi fatti siano diverse da quelle che vi erano allora, e cioè una spaccatura tremenda fra le categorie più elevate della società e tutto il resto, vale a dire quel tema, di cui si è parlato in decenni passati - senza, però, mai arrivare al fondo delle questioni -, della “sparizione delle classi medie”.
Tutto questo vi è Oggi. Tutto questo è Intorno a noi. E non da ieri. Oggi stiamo assistendo alle battute finali del fenomeno. E tuttavia vi è stata tutta una lunga fase - indimenticabile - di totale assoluto compiacimento della e nella situazione che, inevitabilmente, necessariamente, doveva portare a tutto ciò.
Alla domanda: “E perché non ce ne accorgiamo? Perché manca una più generale ‘presa’ di coscienza? Forse depistaggi vari? Come la cosiddetta ‘emigrazione’ o ‘immigrazione’ di massa?”, a tale domanda occorre - senza dubbio - poter rispondere. Direi, anzi, occorre dover rispondere, perché non è “un” interrogativo, quanto “l’” interrogativo.
La risposta a questa importante questione non può essere che articolata.
In primo luogo, non è affatto detto che un fenomeno storico sia percepito per ciò che davvero è dai suoi contemporanei: la storia sta lì a dimostrarcelo molte volte. In una parola: vivere qualcosa e comprendere che cosa si sta vivendo son due cose molto lontane (probabilmente Gurdjieff avrebbe fatto molti e tanti rilievi su questo “fatto psicologico”, però verissimo, e caratteristico della natura umana).
In secondo luogo, e in questo con grandissima differenza rispetto alla totale nullità delle classi “dirigenti” (o “digerenti”) del momento attuale, gli antichi Romani - la loro classe dirigente, ma dirigente davvero - era ben consapevole della crisi. Addirittura lo stesso Polibio (206 a.C. ca.-124 a.C.), storico di origine greca che (sconfitto) fu portato a Roma come precettore e che, proveniente dalla classe dirigente greca, ebbe contatti direttamente con il “gotha” dell’aristocrazia romana della sua epoca - in particolare gli Scipioni -, Polibio ne parlava diffusamente, chiedendosi le cause di questo fenomeno futuro, che lui però vedeva come inevitabile. Vi è quella famosa visione, che narra proprio Polibio - non casualmente -, di Scipione Emiliano il quale, nel vedere la fine di Cartagine nella Terza Guerra Punica (Assedio di Cartagine, 146 a.C.), vide, intravide, intuì che anche Roma un giorno sarebbe caduta e sarebbe finita. Questo tema, dopo la fase di espansione augustea e seguente, con la crisi del III secolo ritornò in auge, come dimostra S. Mazzarino nel suo libro sulla fine del mondo antico, ripubblicato da Bollati Boringhieri nel 2008 e che fortunosamente acquistai qualche mese fa, in una visita alla Piazza michelangiolesca anti stante i Musei Capitolini (che non visitai per mancanza di tempo), nella libreria dei Musei, che dà sulla monumentale Piazza.
La classe dirigente romana era ben consapevole della crisi, ne dibatteva le cause. Vi erano spaccature sul come uscirne, sul come comportarsi con i cristiani e su tante altre cose: ma non sul fatto che la crisi vi era. Questo, poi, li ha aiutati? Basta sapere che si è in crisi per uscirne? Nient’affatto! Nient’affatto proprio! Dunque, anche nel nostro caso, mica è detto che, avendone una maggiore più diffusa percezione generale, la crisi possa essere risolta. Non è per nulla detto.
In terzo luogo, però, se - con la domanda di sopra - si vuol mettere l’accento sul fatto che, oggi, vi è una particolare cecità e quasi una rimozione del problema, allora la risposta va data. E la risposta è molto semplice: la tecnologia. La chiave di volta della cecità è la tecnologia ed il suo continuo sviluppo in pochi, determinati campi, scelti non casualmente. La tecnologia continua a svilupparsi - sempre in quelle poche ben determinate direzioni -, ergo, sembrano pensare i nostri contemporanei, anche il resto della società si “sviluppa”, ed è solo una serie di “errori” di previsione economica che ha generato questo stato. Per i “complottisti”, poi, sono i “cattivoni di Wall Street” - anche loro con l’acqua alla gola e che non sanno che pesci pigliare - ad avere la colpa, sono le “banche”, o “panche”, che dir si voglia … Ma non è affatto così. Anzi, vi è stato un punto in cui lo sviluppo tecnologico ha iniziato a “mangiarsi” le società e ad indebolirne lo sviluppo economico, che pure aveva tanto contribuito, in una fase precedente - oggi super passata -, a rafforzare. Questo punto l’abbiamo superato, e da un bel po’ di tempo. Quindi è la tecnologia che dà questa falsa impressione, che, col suo sviluppo continuo, vela lo sguardo e non consente di vedere le strade in stato pietoso, i sistemi pubblici - anche per quel che riguarda gli acquedotti per fare un altro esempio, fra i tanti possibili - allo sbando, il clima in stato di dissoluzione crescente, ecc. ecc.
Come reagisce chi detiene il potere a questi fenomeni. La reazione di chi ha in mano il controllo - ed una delle “novità” dei “nostri” tempi è che chi abbia il controllo molto spesso non coincida affatto con i governati apparenti - è questa: Accentrare. Accentrar le decisioni.
E ancor Accentrar ed Accentrare.
Questo è. Come Giustiniano. Con lui termina quella corrente, nata da Diocleziano, con Giustiniano I raggiunge l’acme della sua forza, in altre parole con lui si raggiunse il massimo accentramento decisionale possibile, possibile in una determinata, storica e concreta situazione.
Chiaro che, in una tale atmosfera “mentale”, i piccoli centri contino quanto il due di briscola. Soprattutto i “nostri” cari borghesi napoletano-casertani, sempre vissuti delle piccole cose date dalle pubbliche amministrazioni, e che ha sempre difettato di un progetto di più larga estensione, contentandosi di vivere delle prebende statali e dei loro effetti sulla società, siano totalmente privi di difese a fronte di una svolta tanto repentina e decisiva, soprattutto irreversibile. Ed “irreversibile” vuol dire che non è possibile tornare indietro. Non è possibile, in alcun modo, tornare allo stato precedente.
Cercano e chiedono dalla pubblica mano quei sostegni cui sono stati abituati, ma la pubblica mano non è più in grado di erogarli e non c’è niente da fare finché la crisi fiscale degli stati sia risolta, sempre che sia possibile farlo, perché la storia c’insegna che le crisi fiscali abbattono gli stati, li mettono a terra.
Non essendoci alcun piano per fronteggiare davvero i problemi, non essendoci alcuna visione né comprensione né consapevolezza dei problemi reali sul campo, il tutto si riduce a tonnellate di bla bla bla, a Caserta esattamente come altrove.
Né si può dire che non si sapesse che sarebbe successo: diciamo che il “grande pubblico”, o il pubblico “generalista” e la gran parte della cosiddetta “intellighenzia”, non n’era - ma non n’è ancora - consapevole; non se ne deduce che “nessuno” poteva saperlo o vederlo, cosa non vera.
Che cos’è una crisi sistemica. “Non si tratta semplicemente di un ulteriore conflitto tra gruppi, poiché esso ha implicazioni sull’intera organizzazione della vita sociale. Non è cioè qualcosa che potrà essere ‘risolto’ con quel genere di compromesso sociale che differisce la soluzione. O meglio, potrebbe essere risolto in questo modo qualora la stabilità del sistema-mondo fosse diversa” (6). “Una crisi sistemica può essere descritta come una situazione nella quale il sistema ha raggiunto un punto di biforcazione, o il primo di successivi punti di biforcazione. Quando i sistemi giungono a trovarsi lontani dai punti di equilibrio, essi raggiungono punti di biforcazione, dove diventano possibili molteplici soluzioni all’instabilità” (7). Più sono le biforcazioni e più il sistema diventa instabile, finché non ha altra possibilità che mutare completamente, in quanto non sa più gestire la quantità di contraddizioni che si sono andate accumulando. “Di fatto, possiamo rappresentare la prima biforcazione come l’effetto della rivoluzione mondiale del 1968, protrattasi fino ad includere la cosiddetta fine del comunismo nel 1989, la seconda biforcazione” (8). E d’allora in poi, dopo quel momento, tutta una serie di “biforcazioni” sono state espulse quasi blindando la “globalizzazione”, finché un’atra serie di biforcazioni è riapparsa, con il 2001 - ed i noti eventi -, il 2003 e la Seconda Guerra in Iraq, poi il 2008 e la crisi della Lehman Brothers, e tutta la serie di risposte che hanno reso sempre più instabile il sistema, poi al crisi siriana e la Guerra Mondiale del Medio Oriente. Come si vede, le biforcazioni si accrescono, e la situazione economica mondiale diventa sempre più instabile - unita con una caratteristica instabilità climatica, veramente unica e particolare -. Ora, nelle pagine finali dello studio appena citato, l’autore sostiene che vi son tre vie possibili, allo stato del sistema-mondo in crisi totale, che tende allo “stato caotico” dei sistemi complessi.
Va precisato che sono teorizzazioni: non esiste un modello “unico” ed ogni modello storico appare concretamente misto con caratteristiche di altri sistemi, per cui potremmo chiederci, correttamente, quale dei tre verrà a predominare, con tutte le varianti del caso e le particolarità storiche specifiche. La prima via è quella di una sorta di neo-feudalesimo, che vediamo applicato in Europa a partire dal 2008 ed anni seguenti; la seconda è una sorta di fascismo democratico, che poi è la via proposta dai vari “populismi” ed in auge, in parte, in paesi come la Cina, ma non scevra di mescolanze varie; la terza è una radicale decentralizzazione (9).
Si chiedeva Wallerstein: “Esistono ancora altre possibilità? Naturalmente sì. Ciò che è importante riconoscere è che tutte e tre le opzioni storiche son davvero davanti a noi, e la scelta dipenderà dal nostro agire collettivo mondiale nei prossimi cinquant’anni. Quale che sia l’opzione scelta, essa non sarà la fine della storia” (10). Dei cinquant’anni dal 2000 ben 16 ne son passati, e sembra che sia la “soluzione” neo-feudale che quella populistico-fascistoide siano, sin ora, le più “gettonate”, quella di una radicale redistribuzione e radicale decentramento - due cose legate direttamente - sia ben meno presente.
Ma non vi sono solo le decisioni umane, vi è anche la dimensione “extra-umana”, che la modernità tanto avversa, e che tanto le repelle fortemente. Tuttavia esiste. Di conseguenza, potrebbe davvero essere la “fine della storia”, potrebbe - davvero - aversi una riemersione del “mitico” nella storia, come già successo nella storia, per l’appunto (11).
A.   Ianniello


NOTE A PIE’ PAGINA
(1)     R. Santangeli Valenzani, Tecniche edilizie, in R. Meneghini - R. Santangeli Valenzani, Roma nell’alto Medioevo. Topografia e urbanistica della città dal V al X secolo, Libreria dello Stato, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2004, pp. 133-134, corsivi miei. Uno studio online su questi temi, di A. Augenti, si trova al seguente link: http://www.rmojs.unina.it/index.php/rm/article/viewFile/51/354.
(2)       E’ stato suggerito, come date di riferimento del passaggio fra “evo antico” ed “evo medio”, da un lato la peste di Giustiniano (541-542, Giustiniano I regnò dal 527 al 565), e dall’altro la Grande Peste del secolo XIV. Sostanzialmente l’idea è giusta, ma con l’aggiunta che la Grande Peste Trecentesca terminò un qualcosa senza dare immediatamente inizio al “Rinascimento”, categoria quest’ultima piuttosto debole, meglio dire Umanesimo probabilmente. Si precisa che Gregorio Magno era ancora praefectus urbis (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-gregorio-i_%28Enciclopedia_dei_Papi%29/).
(3)      R. Santangeli Valenzani, Tecniche edilizie, in R. Meneghini - R. Santangeli Valenzani, op. cit., p. 135, corsivi miei.
(4)   Ivi, p. 140. Sui Fori, dove si trovano queste case, vi è quest’interessante Bibliografia, al link: http://www.mercatiditraiano.it/servizi_scientifici/bibliografia.
(5)           Ivi, pp. 140-141, corsivi miei.
(6)           T. K. Hopkins - I. Wallerstein, L’era della transizione. Le traiettorie del sistema-mondo 1945-2025, Asterios Editore, Trieste 1997, p. 292, corsivi miei. Secondo i due autori, la “crisi sistemica” termina nel 2025, con la fine del sistema che sopravvive - male - oggi.
(7)      I. Wallerstein, Capitalismo storico e civiltà capitalistica, Asterios Editore, Trieste 2000, p. 123.
(8)           Ivi, p. 124.
(9)            Ivi, p. 129.
(10)       Ivi, pp. 129-130, corsivi miei.
(11)    Sempre, tuttavia, parlando d’influssi non-umani (apaurusheya), sia consentito di terminar così:
“Tutti e cinque restarono per tre giorni senza mangiare e senza bere. assorti in una perfetta concentrazione di pensiero, desiderando, senza frammischiarvi nessun’altra idea, la felicità di tutti gli esseri, dal dio più alto all’insetto più fragile. Più, quando furono usciti dalla meditazione, Gesar pronunciò ad alta voce i seguenti voti:
Che fra le montagne, le une non siano alte e le altre basse;
Che fra gli uomini, gli uni non sino più potenti e gli altri privi di potere;
Che i beni non abbondino nelle mani degli uni e manchino in quelle degli altri;
Che l’alto paese non sia accidentato [letteralmente: non abbia valli e non abbia alture];
Che la pianura non sia uniformemente piatta;
Che tutti gli uomini siano felici!’.
Dugmo [la consorte di Gesar] rispose:
‘Se nell’alto paese non vi fossero né montagne, né vallate, le greggi non troverebbero riparo;
Se la pianura non fosse tutta piatta, si presterebbe male ad essere seminata;
Se gli uomini fossero uguali, essendo tutti uguali ai capi, le cose andrebbero male [letteralmente; non andrebbe bene];
Che la felicità si sparga sul Tibet!’.
‘Voi non mi avete capito’, disse gravemente Gesar. ‘Le mie parole sono state pronunciate troppo presto. Tornerò per ripeterle’.
Poi, Dugmo e i suoi compagni, vestiti in abiti di seta e rimanendo in piedi, allineati gli uni accanto agli altri, cantarono l’inno della prosperità (tachi, scritto krachi) […]. Gesar, pensoso, li guardava: ‘Non ci è possibile’, riprese l’eroe, ‘entrare in un paradiso con i nostri corpi di carne. Domani separeremo da essi lo spirito con il rito pho lang’.
Tutti e cinque s’immobilizzarono di nuovo in una concentrazione perfetta di pensiero. Il mattino seguente comparvero, prima dell’aurora, numerose divinità trasportate da un arcobaleno bianco […].
Il primo raggio di sole lanciò un raggio di luce oltre le montagne lontane. Senza un sol gesto, senza sollevare le palpebre abbassate, Gesar e i suoi compagni gridarono l’ hik dal suono penetrante, poi il phat grave, e sulla terrazza rocciosa della montagna bianca, non vi furono altro che cinque abiti vuoti circondati da un’aureola di luce” (A. David-Néel - Lama Yongden, Vita sovrumana di Gesar di Ling, Edizioni mediterranee, Roma 1990, pp. 331-333, corsivi miei).

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NOTE FINALI
Incontro alla libreria Feltrinelli, 1 settembre, organizzato da Liberalibri 
(http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/09/incontro-alla-libreria-feltrinelli-1.html)
“Federico II a Caserta”
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015_10_01_archive.html
Sull’etimo di “Caserta”
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/10/sulletimo-di-caserta.html
Che alla base della democrazia vi è una scelta “razionale” è falso
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/che-alla-base-della-democrazia-vi-e-una.html
Grandissima deriva e confusione fra democrazia e pluralismo
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/01/grandissima-deriva-e-confusione-fra.html
Frase di René Guénon sulla democrazia
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/frase-di-rene-guenon-sulla-democrazia.html
Scampoli del mondo antico, “I cavalieri selvaggi (“The Horsemen”, Orgullo de estirpe”)
http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/06/scampoli-del-monto-antico-i-cavalieri.html

TO BE OR NOT TO BE....NOT TO BE - Arnold Schwarzenegger -
https://www.youtube.com/watch?v=RS81SCTw1JE

The Jimi Hendrix Experience - All Along The Watchtower (Official Audio) -

https://www.youtube.com/watch?v=TLV4_xaYynY

Animated “This Was Their Finest Hour…” speech by Winston Churchill

https://www.youtube.com/watch?v=Z9amZ8McoBA

The Doors - Riders On the Storm [Remastered HQ] -

https://www.youtube.com/watch?v=DED812HKWyM

http://associazione-federicoii.blogspot.it/2016/02/link-allintervista-bernard-mcguinn.html







lunedì 8 febbraio 2016

Link dell’intervista a Bernard McGuinn sulla ‘Cabinet Magazine’




“Antichrist: An Interview with Bernard McGinn”, ‘Cabinet Magazine’ Issue 5 Evil Winter 2001/02, intervista di K. Windholm, sul tema dell’ “apocalitticismo”.

Bernard McGuinn è autore di un importante testo su questo tema, citato nello studio recente di M. Rizzi sull’Anticristo. Rizzi, assieme a G. L. Potestà, ha curato, per la Fondazione Valla, un’antologia di tutte le testimonianze storiche sull’Anticristo. 

La questione su cui dibattono gli studiosi e se, ed in che misura, la figura  dell’Anticristo provenga da modelli precedenti el rielaborazioni ebraiche. Cme ben noto, per McGuinn tale figura rimonta a Babilonia mentre Rizzi accetta solo in parte questa teoria (e, ovviamente, ne spiega le ragioni nelle sue varie pubblicazioni). 




NOTA

Sul “Trittico dell’Epifania - L’Adorazione dei Magi” di Jeroen Bosch - Museo del Prado, Madrid









“Uscire” dalla “modernità”??





Non si esce dalla modernità in modo moderno. Il cosiddetto islamismo radicale o ‘integralismo islamico’ è moderno, perché trattasi di una società che vuol santificare se stessa per se stessa ed in se stessa, la relazione col cosmo continua a non sussistere. Pertanto è un fenomeno pienamente moderno, è modernismo religioso insomma.
La modernità è iniziata dalla e ‘nella’ religione, e non certo nel ‘comunismo’:  non mi stanco mai di ripeterlo, e solo da lì potrà essere superata, attenzione non dico sconfitta.
Quanto a noi, viviamo nella tarda modernità, nell’ ‘Autunno della modernità’, ed è un processo che sta durando decenni e può durar decenni”.