giovedì 29 settembre 2016

Sulle **ciance** sull’ “identità”, sulle chiacchiere - dolce non casualmente carnevalesco, e siamo ancora “in un sinistro carnevale perpetuo” (Guénon) – dell’Europa che “sta morendo” (è già morta)




Condivido assolutamente che l’Europa stia morendo, un suicidio, dai molti padri - ma più di coloro che qualcuno ha denominato “intellettuali sadici e compiacenti” (che contano zero, poiché il sapere è stato gettato nelle acque del Mar Mediterraneo una volta per tutte, e non ha una vera rappresentanza sociale come **valore** condiviso) o degli imprenditori senza scrupoli, che ci son **sempre** stati, e dunque perché un tempo il loro potere era minore -, ma più di questi, è la gente che ha contato. Che ha fatto la differenza, che si è incagliata, che ha smesso “di riveder le stelle” né, molto semplicemente, vuol rivederle: non ci pensa proprio e questo dagli Anni Ottanta del secolo scorso, come minimo, se non da prima.
Eh no, le cose non accadono per caso. E no, non è un caso che il mondo vada in determinate direzioni piuttosto che in altre … Siamo dove siamo, la malattia si è cronicizzate  condannarla non la cura, e sì, si può finire di tale malattia, può essere letale, nessun dubbio al proposito.

No dunque, condannare “intellettuali” negligenti o imprenditori rapaci, pur avendo queste due categorie contribuito, e non poco, condannarli non basta: è proprio la gente, la maggioranza che si è esaurita. Le energie si sono esaurite, vi è stato un processo, complesso, dai molti indiziati e colpevoli al tempo stesso, che ci ha condotto qui.

Il richiamo all’identità, in una tale situazione, è ben lungi, è ben super lungi, dall’esser non dico efficace (ché ci vorrebbe ben di più per poterlo essere), ma solo **bastevole**, ma solo minimamente sufficiente.

Come si vede, se la “decadenza dell’Occidente” propinqua da molti decenni fa, il suo crollo si è verificato in questi tempi, ed è un fenomeno di **qualità** - qualità - profondamente ben diversissimo dalla decadenza.
Mi spiace molto dover esser così esplicito, ma sentire cose del genere nel 2016, a me sinceramente fa specie. Ci sarebbe da ridere, al pensiero che simili cose siano sostenute da colori i quali hanno attivamente contribuito a farci entrare nel vicolo senza uscite in cui si è, vi sarebbe da che farsi panze di risate al pensiero che simili proclami siano sostenuti da quelle stesse forze che sostenevano la via che non poteva che portarci qui, dove siamo. Purtroppo, par vi sia ben poco da ridere …

Se in altri tempi si poteva ancora portare avanti certi discorsi “identitari” e “rivendicazionismi”, nel 2016 tali stessi discorsi sono sfatti ed hanno al massimo un, sia pur legittimo, senso storico.

Infatti la situazione è ben peggiorata.

Si fossero fatti “certi” discorsi in altri tempi: e non saremmo dove ora siamo.

Ma il fatto – incontrovertibile - è che tali discorsi non son stati fatti quando sarebbe stato invece opportuno. Poi, le cose son andate innanzi, nella direzione sbagliata.

Al punto in cui siamo: la malattia si è cronicizzata.

E solo denunciarla non basta proprio più, ma proprio è super insufficiente. Denunciarla è come limitarsi ad enunciarla. Non sufficit. Ignis et Azoth tibi sufficiunt, ma quivi Non sufficit.
Finirà mai questo “sinistro carnevale perpetuo” (Guénon), che è andato ben oltre qualsiasi cosa Guénon stesso avrebbe mai potuto anche solo lontanamente immaginare ? ?
Che non sia una domanda retorica





P.S. Oggi è San Michele, ed il culto micaelico è stato il culto cosiddetto “nazionale” (etnico sarebbe più corretto) dei Longobardi, che l’han trasformato in instrumentum regni, in senso positivo, e cioè fattore di coesione delle varie strutture sociali proprie di quel popolo. 


Dalla Grotta di San Michele, in Olevano sul Tusciano (dove risiedette anche Hermann von Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico ed amico e consigliere di Federico II.
Questo particolare mostra direttamente San Michele Arcangelo, in una veramente splendida raffigurazione, nel mentre protegge tre monaci. Ai Longobardi si deve anche il passaggio della figura di San Michele da arcangelo in parte guerriero e in parte guaritore ad arcangelo soprattutto guerriero e che scaccia il male. 


 




giovedì 22 settembre 2016

La difesa del dollaro continüa – “EFFETTO FED” -





Come da previsioni, continüa la difesa del dollaro[1], che è un fatto “systemico”, e che, come s’è detto più d’una volta, è una scelta inevitabile

Ed è vero, tutto quest’eccesso di liquidità (la “trappola di liquidità”[2]) droga i mercati, ma, pure qui, non vi è altra scelta nell’ambito delle finalità del Sistema stesso, ovviamente; in altre parole: se cambiassero queste “finalità” le cose potrebbero cambiare, ma il sistema non è capace di cambiare le sue stesse finalità, dunque tutto il resto è mera chimera. L’unica possibilità, concreta e reale, di cambiamento delle finalità, sarebbe che crollasse. 


Questo implica la “stagnazione secolare”, di cui qualcuno – bontà sua -, all’interno del System, sta parlando? 

Sì, certamente. 


E questo implica che la fine del Sistema stia in concreto avvenendo per mezzo del “dissanguamento” e, dunque, si tratta di discesa nelle “acque corrosive”[3]

Sì, certamente questo. 








[1]  Cfr. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/11/rollover-1981-trad-it-il-volto-dei.html.
[2]  Cfr. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/11/economia-globale-ed-il-dilemma-di.html.
[3]  Acqua corrodens = aceto ed ogni liquido corrosivo” (G. Testi, Dizionario di alchimia e di chimica antiquaria – Paracelso, Edizioni Mediterranee, Roma 1980, p. 23, grassetto in originale). Interessante cosa dica Testi dell’aceto: “Aceto = mercurio” (ivi, p. 21). 
Suelle acque corrosive, cfr. http://culturauniversale.blogspot.it/2009/07/le-acque-corrosive-e-l.html. 
E, su questo blog, cfr. http://associazione-federicoii.blogspot.it/2015/04/m-marra-sullalchimia-murro-su-federico.html.


lunedì 19 settembre 2016

“Europa neo-nazionalistica - e Prima Guerra Mondiale”




Europa e Prima Guerra Mondiale

“Parla da saggio ad un ignorante ed egli dirà che hai poco senno”.
Euripide


La Prima Guerra Mondiale segnò, forse, la vera cesura nella “seconda fase” de “La Crisi del mondo moderno” (Guénon), perché pose termine tanto alla cosiddetta “Belle époque[1], quanto pure all’ordine che aveva regnato in Europa e nel mondo a seguito degli accordi del Congresso di Vienna del 1815[2].
Pur periclitante, pur decadente, pur attaccato in mille modi, l’ordine nato da quegli accordi resse sostanzialmente un secolo. Il Congresso di Vienna aveva fatto sì che le aristocrazie europee, anche con molte concessioni e cooptando grosse parti delle varie borghesie “nazionali”, fossero in grado di sostenere lo sviluppo capitalistico che produsse quella che, ormai, si usa chiamare la “prima globalizzazione”.
Quel sistema vedeva nell’Inghilterra e nell’Europa il centro del sistema economico e tecnico mondiali. Quel sistema crollò con la Grande Guerra, per molte ragioni, che ripercorrere qui sarebbe troppo lungo; tuttavia, si cercherà di delinearne, in breve, l’essenziale, soprattutto in relazione alla trasformazione che la Grande Guerra produsse. Se crollò l’ordine della centralità dell’Europa occidentale, pure non crollò il sistema economico e tecnico detto “capitalismo”, che semplicemente si spostò e cominciò a considerare l’Europa come secondaria[3].
La cosiddetta “Europa ‘unita’”, sinora, non è che un succedaneo, dove le ambizioni delle nazioni più potenti (soprattutto la Germania, con la Francia comprimaria in style Vichy) si fanno passare per “unità”, ma non è un “bene comune”, una vera cittadinanza europea che si ritrova al centro, quanto piuttosto uno scimmiottare, in modo peggiore, quel che han fatto gli Stati Uniti d’America che, giova ricordarlo, sono nati unitari.
In Europa non si riesce ancora, dopo tanti anni, a trovare un “proprium” veramente comune, un Nostrum, che sia Mare o Terra poco importa, pure Aër andrebbe bene, purché sia qualcosa di comune davvero[4].
Ricordiamo che una rilevante differenza è il ruolo della Russia, fino alla prima metà del 2015 ancora non coinvolta attivamente nella guerra in Medio Oriente, ruolo che si è dimostrato punto di “svolta” sia nella Prima sia nella Seconda Guerra mondiale, anche se, negli ultimi tempi, sembra ormai che la necessità di formare una “Grande Coalizione” anti-Isis/Isil abbia spinto ad un deciso riavvicinamento fra Russia ed Usa, in vista di una “Grande Coalizione” tanto vasta, quanto debole, ed al suo interno molto divisa.
Or dunque, quando nasce il mondo moderno? Con Lutero. La modernità è nata dalla religione e solo dalla religione potrà essere abbattuta. Anche se questo fatto non è da usare come i “pazzi per Trento”, inguaribili nostalgici con quell’atteggiamento così “tipico” di un’Europina minima – piccola piccola - tutta ripiegata su se stessa, dove l’abusatissimo termine d’ “identità” viene stiracchiato e preso per narcisistico auto rispecchiamento: queste “chiuse identità” la storia non ce le tramanda, anzi, l’identità è precisamente la caratteristica che consente di assimilare gli stimoli esterni mantenendo un nucleo interno intatto. Un’altra osservazione: mai nel Medioevo il nazionalismo era stato tanto esplicitamente evocato prima di Lutero, esisteva implicitamente, ma non esplicitamente.
Tornando alla vexata quaestio dell’ “identità”, è proprio l’assenza di un nucleo interno che genera le risposte isteriche che vediamo in questi tempi di nuovi muri: hanno abbattuto quello di Berlino solo per costruirne altri … ah ah. L’Histoire: quelle ironie!! Tutto si sarebbero aspettati – dopo “l’estasi della connettività” e l’aver “fatto entrare” senza distinzioni - né “step” - i paesi dell’Europa dell’Est - noti e storici portatori di guai –, tutto si sarebbero aspettati fuorché avesse portato a nuovi muri: ma stava tutto scritto dentro, sin dall’inizio, che si sarebbe tornati ai nazionalismi, mai sedati e mai passati dalla Prima Guerra Mondiale.
Certa gente vive nei sogni, che però spesso son incubi o si trasformano in incubi; davvero come se si abbaiasse alla Luna, cosa diffusissima nella nostra epoca[5].
Per quanto decada, per quanto “post”, siamo ancora nell’ “Autunno del moderno”. Non abbiamo davvero superato la modernità, nonostante gli sforzi di taluni autori, come De Benoist[6].
Tuttavia, una diversa, ben diversa posizione su questi temi, qui, su questo blog, è semplicemente doverosa.
Come prima osservazione, si può partire da quel che G. Masson, in una vecchia biografia su Federico II, così concludeva, nell’Epilogo: “Federico di Svevia Hohenstaufen morì apparentemente sconfitto e annientato dalle potenze del suo tempo. Con lui sembrò scomparire anche tutto ciò che aveva voluto creare: soltanto pochi castelli sparsi sulle solitarie [un tempo, nota mia] colline pugliesi, alcune statue della porta di Capua [ne rimane qualcosa] e il manoscritto del suo libro di falconeria restavano a testimoniare della grandezza del suo ideale incompiuto[7].
Dopo questo passo, appena citato, l’autrice rovina le sue giuste osservazioni – dove la Masson, commette il grosso errore dell’anacronismo, attribuendo a Federico II lo stato moderno: questo è un errore molto, troppo diffuso.
E tuttavia, pur puntualizza un punto decisivo, nelle sue frasi successive: “L’ultimo dei grandi imperatori non è morto, ciò per cui è vissuto è giunto fino a noi, per cui dell’altisonante susseguirsi dei suoi titoli [...] potremmo aggiungere: Imperatore Immortale”[8]. Quel che c’è di vero è l’unità, una debole, ma continua unità: il Meridione è, in effetti, un’unità specifica e caratteristica.
Esiste allora un’effettiva “identità meridionale” specifica? Direi di sì.
Che cosa possiamo intendere per “identità”? La particolarità “specifica” s’intende per “identità”: la vera particolarità dell’Italia del Sud, rispetto al resto d’Italia, è quest’unità ed è lo stato forte, tendenzialmente accentrato, seppur spesso non lo si poneva in essere, quindi ecco il termine dubitativo e sfumante di “tendenzialmente” unificanti. In effetti, sarebbe molto da dire a tal proposito, ma nessuno cui dirlo …
Occorrerebbe quindi valorizzare l’unità come punto distintivo del Sud, a fronte di un mondo post-moderno caratterizzato sostanzialmente da individualismo e disunità.
Il Meridione è già, per sua natura, tendente a separarsi e dividersi, disunirsi e frammentarsi, dunque la tendenza sua propria dominante, è un’ “altra”: ma, proprio per questo, si è sviluppato, al suo interno, come una sorta di “bilanciamento”.
Ed è tal bilanciamento la vera, l’unica via reale, una via che sembra paradossale solo in apparenza: come può mai essere che un posto caratterizzato da comportamenti tendenti alla separazione ed alla disunione porti avanti l’unità …
La risposta è nella domanda: qualora, infatti, il clima generale di un’epoca, come quella nostra presente, porti alla disunione, quasi alla dissoluzione, il Sud affonda.
Per sopravvivere - solo per sopravvivere - il Sud ha la necessità, vitale, di avere un contraltare che spinga al contrario ed all’opposto della disunione, oggi predominante e conforme ai “desiderata” dei centri “decisionali” europei.
Se tendenza dell’epoca e quella del luogo si assommano l’una l’altra, allora è la fine. Oggi, Oggi
Ora però: chi fondò l’unità del Süd? I Normanni, che han portato lo style animalistico, pur non essendone affatto gl’inventori, infatti era già presente, di radice classica, ma loro da radici sia orientali che steppiche: lungo discorso …  
Tutte queste questioni, ovviamente, porterebbero alla fatidica domanda: Quand’è iniziato il Medioevo? Punto controverso, che qui si può soltanto accennare.
Per sintetizzare una materia molto fluida (come lava …), lo style animalistico esisteva da ben prima dei Normanni, e vi sono testimonianze anche nel mondo classico, che si pretende lontano dal simbolismo.
Ma è chiaro che hanno portato qui un qualcosa in più, di diverso.

Per non concludere
Nel mondo delle “piccole patrie” e dell’ “identitarismo militante”, dei meschini egoismi di politicanti piccoli-piccoli, dove ogni vera identità comune ormai è sopita - chi cammina sul sentiero dell’unità cammina sul sentiero giusto.
Vincit Ominia Veritas.

Andrea A. Ianniello





[1]  Quanto a quell’epoca non fu così “belle” come vorrebbe il nome. Con il Primo Conflitto Mondiale cominciava quello che qualcuno ha chiamato “la guerra civile europea” (C. Schmitt), ma che chiamerei più esattamente “prima fase della guerra civile globale”, di cui siamo entrati nella terza – e conclusiva – fase.
Sulla “belle” époque, cf. A. Butterworth, Il mondo che non fu mai. Una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, Einaudi editore, Torino 2011. 

[2]  Sulla Restaurazione di Vienna, cf. “Il secolo lungo” in “La Conquista, 1815-1870. L’Unità italiana nell’era della borghesia”, 1. “Restaurazioni”, supplemento a “Il Manifesto”, s.d., pp. 12-17.  L’interpretazione che se ne dà è: “Vienna 1814-1815, missione impossibile: riportare indietro l’orologio della storia, cancellando il 1789 e tutto ciò che ne era seguito. La politica dell’aristocrazia è in antitesi alla società borghese” (ivi, p. 12, corsivi miei). Quest’interpretazione, di matrice marxista, è molto in auge, anche magari per invertirla, com’è costume fra i cosiddetti “alternativi” d’oggi, che usano fare una semplice inversione credendo, così, di risolvere il problema. Piuttosto, si trattò di un’aristocrazia che si propose al comando dello sviluppo capitalistico, cooptando parte delle borghesie nazionali. 

[3]  “Abbiamo già sostenuto che l’immagine secondo cui il capitalismo storico ha avuto origine dal rovesciamento di un’aristocrazia arretrata da parte di una borghesia progressista è sbagliata. Invece l’immagine di base appropriata è quella secondo cui il capitalismo storico è stato creato da un’aristocrazia terriera che trasformò se stessa in borghesia, perché il vecchio sistema si stava disintegrando. Piuttosto che lasciare che la disintegrazione proseguisse verso esiti incerti, essa s’impegnò in una radicale opera di chirurgia strutturale per mantenere e accrescere significativamente la propria capacità di sfruttare i produttori diretti” (I. Wallerstein, Capitalismo storico e Civiltà capitalistica, Asterios Editore, Trieste 2000, p. 84, corsivi miei).
Nel gennaio del 2015 è stato diffuso un dato ufficiale: l’1% della popolazione mondiale (di oltre sette miliardi d’individui) possiede il 90% della ricchezza globale. Questo ha portato la “democrazia” e la “libertà” con la tecnica al loro servizio: al dominio globale delle minoranze egoiste, sul popolino ipnotizzato da giocattolini tecnologici che sviano l’attenzione di massa su strade senza uscita ed obiettivi che sono meri simulacri

[4]  Ben poco notato, è uscito un libro in inglese: M. Rath, The Nazi Roots ofBrussels Eu’, che contiene degli spunti interessanti. Vi è una pagina web sul libro, non tradotto in Italia; la traduzione immediata di un tale testo sarebbe difficile, essendo gli italici i più pigri del mondo in queste cose. Il link è: http://www.nazi-roots-of-brussels-eu.org/. Quest’ultimo link, si arriva ad un altro link, che contiene la traduzione in italiano.
Tra l’altro, sia detto per inciso, anche nella Seconda Guerra Mondiale la Germania (del Terzo Reich, stavolta) ebbe il ruolo di “apripista”, di “ariete di sfondamento” dello sviluppo tecnologico, del quale sviluppo si avvantaggeranno, dopo la guerra, sia la Russia, sia – ancor più – gli Stati Uniti d’America, che portarono massicciamente intere legioni di scienziati tedeschi negli Usa (“Operation paperclip”, “Operazione graffetta”). Senza questi ultimi, il nostro presente non sarebbe quel che è, tante “invenzioni post-moderne” non ci sarebbero, non farebbero parte del nostro presente e della vita quotidiana di parti della popolazione mondiale (non di tutti però, come la cosiddetta “immigrazione di massa” sta, ogni giorno, a ricordarci). 

[5]  Cf. P. Scaolo, Contra Canes. Manifesto di liberazione dallo strapotere e dall’intolleranza dei cinofili, Scipioni, Valentano (VT) 2003. 

[6]  A tal proposito, cf. A. de Benoist, Oltre il Moderno. Sguardi sul terzo millennio, Arianna Editrice, Casalecchio (BO) 2005 (II Edizione, la prima era del 2003), libro che, pur interessante sotto vari aspetti, fallisce nell’andar realmenteOltre” il Moderno, oltre la “nozione” (Der Begriff) di “modernità” tout court (“Der Begriff” come Der Begriff der Politik di C. Schmitt (Lacategoriadel politico), “categoria” che, per Schmitt, si sostanziava nell’opposizione amico/nemico, e così anche “il” Moderno “in sé” si aggrega intorno ad un’opposizione “sviluppo”/“tradizione”, opposizione che non esiste più oggi nei termini detti “moderni, appunto).  Ed oggi, conviene esser chiari: contro l’ “Amerika” oggi ci son tanti, ma è l’esser contro il classico “gigante con i piedi d’argilla”, contro i vari Putin, e tutti i populismi, invece nient’affatto; anzi, son considerati “buoni”, e in un “senso comune” molto più diffuso di quel che possa sembrare e che “dis-usa” parti del vecchio “tradizionalismo”, volgendolo a ai loto scopi. Ecco, quest’abbraccio dissolutore troverà sempre in “Noi” un ostacolo. Difatti, questo loro “orientamento-occidentamento” si esprime, dal “nostro” punto di vista, in tali termini: contro il System della “Grande Prostituta” e a favore della “Bestia”. Figurarsi se qui siamo a favore del System! Super contro! Ma, se ciò vuol dire stare a favore della “Bestia”, siamo ancor più contro questa “deriva” di quel che non si fosse contro il “Ventennio osceno”, sempre avversato, pagato sulla propria pelle quando quelli che ora protestano erano dalla parte del System, e non potrà mai esser dimenticato. In una parola: vi è differenza qualitativa fra i due stadi della stessa cosa eh, due fasi della stessa cosa, eh … Su Putin, che ha preso delle pagine da Zhirinovskij, cf. https://associazionefederigoiisvevia.files.wordpress.com/2014/03/il-e2809clibretto-neroe2809d-il-caffc3a8-30-dicembre-2003-anno-vi-n-48-274.jp. Scritto, quest’ultimo, dell’AD 2003, giusto per mettere i punti sulle “i”, sulle “a”, sulle “o”, sulle “e”, sulle “u”, insomma giusto per porre “umlaut” un po’ su tutto, anzi tüttö …
Finché il sottoscritto sarà in giro: Non si cadrà nelle trappole, trappolette, trappolone, d’ogni fatta, forma e/o misura, che dico: mizürä … Naturalmente, ognuno essendo padrone di fare come crede.  

[7]  G. Masson, Federico II di Svevia, Rusconi Libri, Milano 1978, pp. 433-434, corsivi miei. 

[8]  Id., p. 434, corsivi miei.